Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Il diritto al rimborso del socio recedente di banca popolare in seguito alla riforma t.u.b. (di Luca Carotenuto)


The author analyses the reform of Italian mutual institutions with references to the European law, in particular the Capital Requirement Regulation, the Capital Requirements Directive IV, and Commission Delegated Regulation n. 241/2014. The article offers an alternative solution that harmonises contrasting requirements between EU law, which limits capital instrument redemptions, and Italian corporate law, which provides for investment liquidation in cases where a shareholder does not agree with modifications of the company’s articles of association.

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SOMMARIO:

1. Il dibattito sulla riforma delle banche popolari - 2. La riforma europea delle banche popolari: la direttiva CRD IV ed il regolamento CRR - 2.1. Segue: il Regolamento Delegato, le limitazioni al rimborso riprodotte nel t.u.b. e l’impatto della normativa nell’ordinamento italiano - 3. La necessità di ulteriori interventi da parte del legislatore - 4. Il diritto di recesso del socio alla luce delle modifiche dello Statuto imposte dall’art. 28, 2°-ter comma, t.u.b. - 5. I possibili rimedi al mancato diritto di recesso - NOTE


1. Il dibattito sulla riforma delle banche popolari

La riforma delle banche popolari [[1]] è stata oggetto di un acceso dibattito, che si è concentrato prevalentemente sul tema delle limitazioni all’esercizio del diritto di recesso a seguito di trasformazione di cooperativa bancaria in società per azioni [[2]]. La questione attiene in particolare all’art. 28, 2°-ter comma del Testo Unico Bancario (t.u.b.) [[3]] ed ai regolamenti attuativi emanati dalla Banca d’Italia. Al riguardo, il Consiglio di Stato, nel procedimento cautelare in cui sono stati riuniti tre differenti ricorsi, ha sospeso – con ordinanza – l’efficacia di tre parti della Circolare di Banca d’Italia n. 285 del 17 dicembre 2013 e del 9° aggiornamento del 9 giugno 2015, rinviando al giudizio della Corte Costituzionale la valutazione dei possibili rilievi di illegittimità [[4]]. Fatta eccezione del paragrafo 2 della Circolare di Banca d’Italia, intitolato Regime di prima applicazione [[5]], le altre due parti sospese hanno per oggetto i limiti al rimborso del socio recedente [[6]] e le modalità con cui quest’ultima può essere esercitata dagli organi societari [[7]]. Come è stato poi argomentato nella separata ordinanza di rinvio al giudice delle leggi nel procedimento di merito, il d.l. 24 gennaio 2015, n. 3 avrebbe attribuito all’Istituto di vigilanza “un potere di delegificazione in bianco”, che si qualifica nella possibilità di escludere il rimborso del socio recedente “anche in deroga a norme di legge” [[8]]. I profili di presunta illegittimità dell’art. 28, 2° comma ter, t.u.b. andrebbero, dun­que, osservati in relazione alla possibilità di escludere il rimborso delle azioni in toto e senza limiti di tempo. In questo senso si deve considerare che la funzione del recesso, nelle società di capitali, è quella di consentire al socio di “disinvestire” dalla società qualora lo statuto sia modificato in maniera rilevante [[9]]. Infatti, attraverso il conferimento, un soggetto acquista lo status socii in quanto il suo investimento viene destinato alla formazione del capitale sociale finalizzato al conseguimento dell’attività imprenditoriale [[10]] che “si traduce nella (tendenziale) [continua ..]


2. La riforma europea delle banche popolari: la direttiva CRD IV ed il regolamento CRR

In data 26 giugno 2013, il Parlamento ed il Consiglio Europeo emanavano il reg. Ue n° 575/2013 (Capital Requirements Regulation, c.d. CRR) e la direttiva 2013/ 36/EU (Capital requirements directive, c.d. CRD IV), riguardanti i requisiti prudenziali degli enti creditizi per dare maggiore stabilità al sistema bancario europeo in conformità alle regole di Basilea III [[12]]. Prima di analizzare questa normativa, è bene sottolineare che ha finalità ben differenti rispetto ai nuovi regolamenti e direttive afferenti alla liquidazione degli enti creditizi in crisi [[13]]. A tal riguardo, si deve rilevare che tale distinzione non è stata colta da alcune sentenze dei giudici amministrativi [[14]]. Per converso, il regolamento CRR riguarda i requisiti minimi prudenziali che tutti gli enti creditizi devono osservare per garantire la stabilità del mercato ed evitare distorsioni dello stesso dovute a regolamentazioni arbitrarie degli Stati membri [[15]]. Dall’altra parte, la direttiva CRD IV prevede la trasposizione delle “nuove norme regolamentari mondiali sull’adeguatezza patrimoniale delle banche (norme di Basilea III), ivi comprese le norme che impongono riserve di conservazione del capitale e riserve di capitale anticicliche” [[16]]. La normativa europea sulle società mutue e cooperative avrebbe portata nei confronti di qualsiasi banca di credito cooperativo e popolare a prescindere dal patrimonio [[17]], includendo quindi le cosiddette significant e le rimanenti infrasoglia [[18]]. Nello specifico, le banche e gli istituti di credito devono osservare il parametro di solidità e stabilita previsto da legge, anche conosciuto come CET1, che, adottando una definizione elementare, esprime il rapporto tra capitale primario di classe 1 [[19]] a disposizione della banca e le sue attività ponderate per il rischio [[20]]. Al fine di preservare il CET1, sono state previste tre specifiche norme che limitano la capacità al rimborso dell’ente in caso di deterioramento di questo parametro al di sotto della soglia prevista da legge. Da una parte, l’art. 141 dir. CRD IV stabilisce che gli Stati membri vietano il rimborso degli strumenti di capitale primario qualora i suddetti requisiti non siano soddisfatti e tale rimborso implichi una diminuzione del CET1 al di sotto [continua ..]


2.1. Segue: il Regolamento Delegato, le limitazioni al rimborso riprodotte nel t.u.b. e l’impatto della normativa nell’ordinamento italiano

Quasi un anno dopo il reg. CRR, è intervenuto il Regolamento Delegato della Commissione Europea n. 241/2014 (c.d. Regolamento Delegato) al fine di specificare come si possa limitare il rimborso per evitare un possibile default della banca. La normativa inerente alla limitazione al rimborso ivi prevista è stata riprodotta ed attuata in Italia dall’art. 28, 2°-ter comma, t.u.b. e dalle due parti della Circolare di Banca sospese dall’ordinanza del Consiglio di Stato. Infatti, la parte intitolata “Rimborso degli strumenti di capitale” [[21]] è (quasi) una pedissequa riproduzione dell’art. 10 del Regolamento Delegato, rivolto proprio nei confronti delle società mutue e cooperative e degli enti di risparmio. Analogamente, l’altra parte della Circolare di Banca d’Italia sospesa, inerente alle Modifiche statutarie delle banche popolari [[22]], osserva quanto stabilito dall’art. 11 paragrafo 2 del Regolamento Delegato che impone all’ente di introdurre nello statuto una clausola conforme all’art. 28, 2°-ter comma, t.u.b., quindi anche all’art. 10 del Regolamento Delegato. Nello specifico, l’art. 10, § 2 del Regolamento Delegato, in riferimento agli artt. 29, § 2, lett. b) e 78, § 3 del reg. CRR, prevede che l’ente può “limitare” o “rinviare” il rimborso. I riferimenti in tale paragrafo contemplano entrambi il caso in cui la legge nazionale vieta il rifiuto al rimborso. In questa ipotesi, l’art. 11, § 2 del Regolamento Delegato prevede che l’autorità competente deve imporre agli enti di modificare le disposizioni contrattuali qualora non sia convinta che la base sulla quale è limitato il rimborso non sia appropriata. In particolare «se gli strumenti sono regolati dalla normativa nazionale in assenza di disposizioni contrattuali, perché gli strumenti abbiano i requisiti per essere considerati capitale primario di classe 1 la legislazione deve consentire all’ente di limitare il rimborso come previsto dall’articolo 10, paragrafi da 1 a 3» [[23]]. A tal riguardo, secondo un orientamento, le limitazioni, una volta inserite nello statuto societario, avrebbero efficacia ultrattiva nei confronti delle popolari trasformate in società per azioni [[24]]. Al [continua ..]


3. La necessità di ulteriori interventi da parte del legislatore

Emergono, tuttavia, una serie di significative lacune sia nella normativa europea che in quella nazionale. La prima riguarda le modalità in cui la banca può reintegrare il proprio capitale primario di classe 1. A rigor di logica, i soci che abbiano subito il rinvio del rimborso dovrebbero essere liquidati quanto prima e, di conseguenza, tutti gli utili eccedenti la soglia CET1 dovrebbero essere devoluti a questi ultimi, non ancora rimborsati, fino alla loro completa soddisfazione. Tuttavia, ciò potrebbe portare ad “immobilizzare” la banca per qualunque futuro investimento in grado di supportare la reintegrazione del capitale primario. Probabilmente, questa lacuna normativa è stata voluta ancora una volta per lasciare la possibilità agli amministratori, sempre sotto il controllo della Banca d’Italia, di ricostruire il capitale primario come meglio ritengano, applicando soluzioni più efficaci a seconda delle circostanze. È stata supportata, come mero esempio, la possibilità di costituire una riserva di capitale a cui sarebbe destinata una parte degli utili, da devolvere successivamente al rimborso dei soci “rinviati”. L’unica certezza, alla luce del combinato disposto degli artt. 77 e 78 reg. CRR, è che per ogni rimborso o riacquisto dovrebbe esserci la costante autorizzazione di Banca d’Italia. La seconda lacuna riguarda la possibilità di esperire contestualmente sia la limitazione che il rinvio al rimborso. Secondo un certo orientamento – alla luce di un’attenta lettura della norma europea e della pedissequa riproduzione eseguita da Banca d’Italia – si dovrebbe ritenere che questi strumenti possano essere adoperati singolarmente e non possano essere combinati tra loro. Più precisamente, se la banca decide di limitare il valore della quota rimborsabile non potrà, poi, prevederne anche il rinvio e viceversa [[41]]. Dall’altra parte si è sostenuto che i due strumenti possano essere combinati tra loro per rimborsare i soci recedenti [[42]]. Questa soluzione dovrebbe essere preferita. Infatti, gli artt. 10 e 11 del Regolamento Delegato, sembrerebbero prevedere la massima discrezionalità degli organi della banca popolare e delle banche di credito cooperativo di utilizzare gli strumenti in maniera più adeguata a seconda delle condizioni previste dal caso concreto. [continua ..]


4. Il diritto di recesso del socio alla luce delle modifiche dello Statuto imposte dall’art. 28, 2°-ter comma, t.u.b.

Come si è detto, è opinabile che alcune parti della circolare dell’Autorità di Vigilanza e della normativa europea – e precisamente quelle che limitano il diritto alla liquidazione delle azioni in caso di recesso – presentino profili di illegittimità costituzionale. Al riguardo, il tema da analizzare è se il diritto al rimborso del socio recedente di una banca popolare possa essere limitato in virtù dell’interesse pubblico, volto ad evitare crisi del sistema in caso di default della banca. Secondo un orientamento [[47]], alla luce di alcune sentenze della Corte costituzionale [[48]] e delle Corti europee [[49]], gli organi societari delle banche popolari avrebbero la facoltà di sacrificare gli interessi della minoranza, laddove tale sacrificio risultasse (i) “ragionevole”, (ii) non incisivo sul “contenuto minimo” della partecipazione e (iii) assistito da idonei mezzi di reazione per il caso di esercizio abusivo del potere decisionale della società. Tuttavia, è stato obiettato che la limitazione totale del rimborso e/o il rinvio “senza limiti di tempo” finiscano per configurare una “irragionevole” violazione della libertà patrimoniale del singolo [[50]]. Alla luce di questo orientamento, relativo alla legittimità della norma, si dovrebbe prendere in considerazione un diverso profilo, ossia se il socio può recedere finché la norma che prevede la limitazione al rimborso non sia efficace nei suoi confronti, senza impedire il suo diritto alla liquidazione delle azioni in proprio possesso. In particolare, l’efficacia dell’art. 28, 2°-ter comma, t.u.b. e della Circolare di Banca d’Italia andrebbe ricercata non tanto nella norma italiana bensì nelle norme comunitarie. Come è stato rilevato dall’orientamento prevalente [[51]], il regolamento CRR ed il Regolamento Delegato, dovrebbero possedere i medesimi poteri di ogni altro regolamento UE ed avere, quindi, efficacia immediata nei confronti degli Stati membri e dei soggetti a cui essa è indirizzata [[52]], prevalendo sulla legge nazionale [[53]] e senza alcun intervento da parte del legislatore interno [[54]], come la stessa Corte Costituzionale ha più volte riconosciuto [[55]]. In questi termini, il socio [continua ..]


5. I possibili rimedi al mancato diritto di recesso

In termini generali, il recesso è la manifestazione di un diritto potestativo, garantito da legge, attraverso il quale un soggetto attua un interesse meritevole di tutela [[84]]. Il diritto potestativo, quale recesso, si configura, quindi, in un’attribu­zione di un potere giuridico di autonoma qualificazione avente uno specifico contenuto e rivolto ad un determinato soggetto in quanto parte di un rapporto giuridico [[85]]. Lo stesso principio è riprodotto nell’art. 2437 ultimo comma c.c. per cui ogni patto contrario o che rende più gravoso il recesso rispetto alle ipotesi previste dal primo comma è affetto da nullità. La norma è quindi imperativa e non può essere derogata per nessun motivo [[86]]. Di conseguenza, la mancata attribuzione del diritto di recesso da parte del consiglio di amministrazione non inficerebbe la possibilità di far valere tale diritto sia quando non è stato previsto nella convocazione dell’assemblea, avente ad oggetto una modifica dello statuto da cui scaturirebbe, sia quando tale modifica è deliberata direttamente dagli amministratori ai sensi dell’art. 2365, 2° comma, c.c. In entrambi i casi, vi è un pregiudizio per il socio recedente: la determinazione del valore delle azioni, non essendo stata prevista prima della delibera, avviene in un momento successivo [[87]]. Infatti, il socio non sarebbe a conoscenza del reale valore delle sue azioni per cui non gli è data la possibilità di valutare la convenienza del recesso. In qualunque caso, se desidera comunque uscire dalla compagine sociale, il quantum che gli verrà liquidato dovrà sempre rappresentare nella maniera più idonea il valore “reale” delle partecipazioni al sorgere del diritto [[88]]. In particolare, se il motivo di recesso risulta essere la modifica dei criteri di determinazione del valore delle azioni, andranno applicati quelli antecedenti a tale delibera [[89]]. Infatti, se il computo del valore delle azioni dovesse seguire i nuovi criteri (sfavorevoli al socio) introdotti dalla modifica, si dovrebbe ritenere che questi ultimi siano stati stabiliti arbitrariamente dalla società e sarebbero nulli ai sensi del­l’art. 2437, ultimo comma, c.c. in quanto più gravosi rispetto a quelli naturali [[90]]. Detto ciò, si devono valutare i casi [continua ..]


NOTE