Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Brexit e diritto delle società: brevi note su un minaccioso documento della Commissione Europea (di Federico M. Mucciarelli)


SOMMARIO:

1. Un avvertimento della Commissione al Regno Unito. - 2. Società e libertà di stabilimento. - 3. Il diritto europeo armonizzato. - 4. La Società Europea.


1. Un avvertimento della Commissione al Regno Unito.

In un referendum tenutosi il 23 giugno del 2016, una risicata maggioranza di votanti del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord ha dato indicazione di voler uscire dall’Unione Europea. A seguito di questa scelta, e nonostante il referendum non fosse vincolante, il 29 marzo 2017 (ossia nove mesi dopo il referendum stesso) il governo britannico ha comunicato l’intenzione di uscire dall’Unione, ai sensi dell’art. 50 del Trattato sull’Unione Europea. A partire da quel momento, è iniziato il conto alla rovescia previsto dal medesimo articolo: se entro due anni le parti non raggiungeranno un accordo, o se il Consiglio non decidesse unanimemente una proroga del termine, il Regno Unito sarà fuori dall’Unione Europea immediatamente e le sue relazioni con gli Stati membri si baseranno solamente sulle regole del WTO. L’esito delle trattative sull’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea è, al momento in cui queste note vengono scritte, ancora incerto. Nonostante le parti abbiano siglato un documento d’intenti unitario in dicembre [1], nulla è stato ancora sancito in maniera precisa, anche se è realistico pensare che la diplomazia sia continuamente al lavoro dietro le quinte. La linea del Governo britannico pare a tratti incerta – o forse solo ben nascosta – e quel che traspare è solo la sua volontà di limitare l’immigrazione e di sganciare completamente il diritto interno da quello della UE, compresa la libertà di stabilimento e la “supremazia” della Corte di Giustizia [2]. In questa complessa partita si inseriscono senza dubbio anche manovre tattiche e piccole minacce, tra le quali si può annoverare l’interessante documento qui pubblicato, approvato dalla Commissione il 21 novembre dello scorso anno. Già dal titolo è chiara la funzione negoziale del documento: esso parla agli “stakeholder” di società che, attualmente, godono dei benefici della libertà di stabilimento, avvertendoli – forse esagerando alcuni aspetti, come vedremo – dell’infausto destino che li attende qualora il Regno Unito dovesse uscire dall’Unione senza un accordo che lo tenga, in qualche modo, legato al mercato unico. Prima di affrontare il documento della Commissione, è opportuno ragionare sugli scenari futuri. Nonostante le incertezze di fondo, [continua ..]


2. Società e libertà di stabilimento.

In primo luogo, è opportuno descrivere – sia pure sinteticamente e rinviando ad altre trattazioni per una compiuta disamina – lo stato dell’arte riguardo alla libertà di stabilimento e alla sua applicazione nel Regno Unito. Le società costituite secondo la legge di uno Stato Membro, e aventi la propria sede sociale, l’amministrazione centrale oppure il centro d’attività principale entro la UE, godono della libertà di stabilimento [4]. Questo significa, in primo luogo, che gli Stati membri possono frapporre ostacoli nei confronti di società costituite in altro Stato membro che intendano situare la propria attività o la propria amministrazione centrale sul proprio territorio, solo se giustificati da ragioni di interesse pubblico e proporzionati a tali obiettivi [5], sempre che questa possibilità di collocare altrove attività o amministrazione centrale sia ammessa dal paese di costituzione [6]. In secondo luogo, gli Stati membri non possono ostacolare la scelta di società costituite in altro Stato membro di trasformarsi in proprie società (trasformazioni internazionali “in arrivo”), a meno che i limiti posti dal paese d’arrivo rispettino, oltre al Test Gebhard, anche i principi di “equivalenza” con la legislazione nazionale in materia di trasformazioni e di “effettività” [7]. Infine, recentemente la Corte ha chiarito che gli Stati membri non possono impedire a società costituite secondo la propria legge di trasformarsi in enti retti dalla legge di altro Stato membro e che qualsiasi restrizione a simili “trasformazioni internazionali in uscita” debba essere giustificata alla luce del Test Gebhard [8]. Nonostante alcuni aspetti siano probabilmente ancora da chiarire, la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha delineato ormai un quadro abbastanza definito delle possibilità offerte alle società. Ironicamente, è proprio il Regno Unito ad emergere come il paese preferito da società che intendano scegliere una lex societatis diversa da quella dello Stato in cui esse sono effettivamente operative o in cui hanno la propria amministrazione centrale. In una ricerca condotta per la Commissione Europea, in particolare, si mostra (sia pure riguardo alle sole società a responsabilità limitata ed escludendo le [continua ..]


3. Il diritto europeo armonizzato.

Il punto successivo del documento della Commissione, che riguarda il diritto europeo armonizzato, appare invece più strumentale alla trattativa in corso. In esso si afferma che le norme europee su trasparenza, costituzione della società, regole sul capitale e fusioni transfrontaliere non troveranno più applicazione verso il Regno Unito, con la conseguenza che i creditori e i laboratori dovranno affidarsi “solamente” alle regole britanniche. Sul piano descrittivo, è vero che dopo l’uscita del Regno Unito dalla UE le future modifiche al pacchetto di direttive di armonizzazione del diritto societario non troverà applicazione nel Regno Unito. Ed è altrettanto vero, come ricorda la Commissione al punto successivo, che la Companies House cesserà di far parte del neonato sistema interconnesso dei registri commerciali europei (ma si deve anche sottolineare come la Companies House sia abbastanza trasparente ed informatizzata, tanto da renderla fruibile al pubblico dei potenziali creditori indipendentemente da tale sistema di interconnessione). Peraltro, tutte le precedenti norme di armonizzazione sono già state recepite dal diritto societario del Regno Unito e ne fanno parte integrante, cosicché ben poco cambierà allo stato attuale. Inoltre, questo passaggio del documento pare far leva sulla diffusa opinione che il diritto societario britannico sia meno protettivo dei creditori rispetto a quanto accade sul continente. Nonostante sia evidente la funzione strumentale di questo punto a fini negoziali, sul piano della verità scientifica non si può sottacere che queste affermazioni si fondano in larga misura su pregiudizi. È vero che alcuni ordinamenti continentali prevedono misure stringenti di protezione dei creditori che tutelano il mantenimento del patrimonio netto e limitano la distribuzione dei dividendi. Peraltro, i paesi continentali rivelano strategie disparate ed in alcuni paesi, tra cui l’Italia o la Francia, le regole sui limiti ai dividendi sono più lasche rispetto a quelle, ad esempio, tedesche o austriache [12]. Inoltre, l’armonizzazione a livello europeo riguarda per lo più le sole società per azioni, riguardo alle quali le differenze tra Stati membri sono minime, mentre le differenze più rilevanti si registrano per le forme societarie analoghe all’italiana s.r.l. Inoltre, [continua ..]


4. La Società Europea.