Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Dai patti di famiglia alle clausole statutarie sulla successione delle partecipazioni sociali (di Carlo Limatola)


Il saggio affronta il problema della successione delle partecipazioni sociali in seguito alla morte del socio, confrontando l’istituto del patto di famiglia e le clausole sul trasferimento delle partecipazioni sociali, con particolare riguardo alle previsioni che nelle s.r.l. intendono operare una selezione all’ingresso tra gli eredi del socio.

Lo scritto ripropone, con l’aggiunta di note, il testo della relazione al Convegno “Il passaggio generazionale nell’impresa 4.0: tra tecnologia e diritto” svoltosi a Salerno il 5 ottobre 2018.

From family agreements to statutory clauses about succession of companies’ shares

The essay addresses the issue of the hereditary succession of companies’ shares after the partner’s death, by comparing family agreements and statutory clauses. Attention is paid to some issues concerning the unit transfer clauses in the LLC, with particular regard to the forecasts that intend to make a selection at the entrance among the heirs of the member.

KEYWORDS: Companies – Generational transition – Statutory clauses – Succession of companies’ shares.

SOMMARIO:

1. La trasmissione della ricchezza produttiva nell’economia dell’impresa di famiglia - 2. La cessione delle partecipazioni sociali mediante patto di famiglia: profili problematici - 3. Clausole statutarie e trasmissione mortis causa della ricchezza produttiva - 4. La disciplina convenzionale della sorte delle quote sociali - 5. Trasferimento mortis causa delle quote di s.r.l. e selezione all’ingresso degli eredi - NOTE


1. La trasmissione della ricchezza produttiva nell’economia dell’impresa di famiglia

La definizione degli assetti proprietari e di governo dell’impresa in occasione del trasferimento delle partecipazioni sociali ai discendenti costituisce uno dei momenti più delicati della sua esistenza, dove si intrecciano sia gli interessi della famiglia, che quelli dell’attività produttiva. In questa occasione, può verificarsi una contrapposizione tra le dinamiche familiari e quelle imprenditoriali, che nel tempo possono generare conflitti ed inefficienze, sino a condurre nel medio periodo al dissesto. Questa constatazione trova riscontro nell’analisi dei dati empirici, dai quali si desume che di rado le imprese riescono a superare le problematiche riconducibili all’ingresso dei successori dei soci, che costituisce, pertanto, uno dei momenti più problematici della vita aziendale. In questo scenario, si avverte la necessità di regolare la sorte delle partecipazioni sociali, in modo da ripartirle tra i successori e così assicurare un’ordinata distribuzione della ricchezza produttiva e, per questa via, attribuire ad alcuni beneficiari il potere di gestione mediante l’esercizio della maggioranza dei diritti di voto [[1]]. L’interesse perseguito è di veicolare le quote sociali per assicurare stabilità e continuità dell’amministrazione ed, in tale direzione, la prassi ha tradizionalmente fatto ricorso all’inserimento negli atti costitutivi delle società di clausole volte a regolare la successione nella titolarità delle partecipazioni dopo la morte del socio. Tali previsioni hanno storicamente animato un vivo dibattito sia sulla loro ammissibilità, che su diversi profili, in parte tuttora irrisolti. Su tali questioni si è inserita, poi, l’introduzione del patto di famiglia (artt. 768-bis ss. c.c.), ossia un istituto il cui specifico scopo è quello di regolare la successione delle realtà produttive in favore delle nuove generazioni. Non è, tuttavia, sicuro che questa disciplina consenta di operare un’efficiente allocazione dei beni produttivi e, quando si tratti di partecipazioni sociali, potrebbe risultare preferibile optare per le clausole di predisposizione successoria, riproponendosi alcune questioni rimaste insolute. In particolare, nell’am­bito dei disegni di predisposizione successoria, vengono all’attenzione le clausole volte a selezionare i soggetti [continua ..]


2. La cessione delle partecipazioni sociali mediante patto di famiglia: profili problematici

L’istituto del patto di famiglia assolve, nelle intenzioni del legislatore, alla funzione di approntare uno strumento idoneo a definire anticipatamente la successione nella titolarità dell’azienda e delle quote societarie, prima dell’apertura della successione, evitando che i limiti posti dal diritto successorio ed eventuali conflitti tra gli eredi possano arrecare pregiudizi all’efficienza dell’attività d’impresa [[2]]. Come è noto, uno dei vantaggi principali dell’istituto è costituito dalla deroga al divieto dei patti successori, impedendo che l’accordo sulla sorte delle partecipazioni sociali sia considerato nullo per violazione dell’art. 458 c.c. [[3]]. Profilo, in verità, forse sopravvalutato, in considerazione della circostanza che l’accordo concluso tra tutti i legittimari costituisce di per sé un atto inter vivos e non un patto sulla successione di un socio [[4]]. Diversamente, la deroga al diritto comune è costituita dalla legittimazione dei futuri eredi a rinunciare preventivamente alle pretese ereditarie, che potrebbero vantare in seguito all’apertura della successione. Nondimeno, diverse sono le criticità dell’istituto, determinate prevalentemente dai molteplici dubbi sull’interpretazione della disciplina, cui il legislatore ha tentato di arginare mediante un tentativo di riforma, che tuttavia non è andato a buon fine [[5]]. Così, è controversa la sorte dell’accordo nel caso di inadempimento dell’ob­bligo di partecipazione al patto di tutti coloro che sarebbero legittimari, là dove si aprisse in quel momento la successione, prospettandosi in alcuni casi la nullità del contratto [[6]], in altri la mera inopponibilità ai soggetti non partecipanti alla convenzione [[7]]. Del pari, diversi dubbi sono sorti sul campo di applicazione dell’istituto, sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo. In primo luogo, fermo restando che l’ac­cor­do può essere stipulato anche da chi non assume la formale qualifica di imprenditore [[8]], purché sia titolare del complesso aziendale oggetto di trasmissione, non è chiaro il riferimento posto dall’art. 768-bis c.c. al trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni sociali «ai discendenti». In [continua ..]


3. Clausole statutarie e trasmissione mortis causa della ricchezza produttiva

I limiti della disciplina del patto di famiglia rendono più appetibile l’utilizzo di istituti peculiari al diritto societario, come l’introduzione di clausole statutarie di circolazione ristretta delle partecipazioni sociali, in grado di veicolare la proprietà delle quote secondo criteri predeterminati. Le medesime presentano alcuni vantaggi peculiari al patto di famiglia, senza che ricorrano, contestualmente, le problematiche tipiche di tale istituto e si rivelano congeniali alla pianificazione della successione d’impresa, nella misura in cui permettono solo a determinati soggetti di entrare in società, evitando che l’ingresso degli eredi determini situazioni di instabilità [[22]]. Hanno, inoltre, l’indubbio vantaggio di impedire l’in­gresso di tutti o di alcuni successori, a prescindere da specifiche manifestazioni di volontà dei legittimari, dato che la trasmissione delle quote avviene sulla base di un meccanismo che non richiede il loro coinvolgimento, ma è regolato dall’atto costitutivo. L’opera­ti­vità di una clausola statutaria, inoltre, ha il pregio di garantire l’ap­plicazione di un criterio uniforme per tutti i soci, senza che occorra richiamare, di volta in volta, istituti diversi per determinare la sorte della partecipazione [[23]]. Sul piano dei rapporti tra i familiari, poi, tali previsioni presentano l’indubbio vantaggio di operare a prescindere dal raggiungimento del consenso di tutti i legittimari, diversamente da quanto avviene in riferimento al patto di famiglia, dato che la sorte della partecipazione è veicolata nel senso indicato dallo statuto. Siffatte clausole sono presenti in tutti i tipi societari. Così, nelle società di persone l’art. 2284 c.c. prescrive la possibilità di introdurre nell’atto costitutivo una disciplina derogatoria rispetto al diritto degli eredi alla liquidazione della partecipazione del socio defunto: ossia, una regolazione convenzionale del passaggio delle quote a causa di morte [[24]]. Del pari, nelle società di capitali, gli artt. 2355-bis e 2469 c.c. contemplano la possibilità di introdurre limiti al trasferimento delle azioni e delle quote, di norma liberamente trasmissibili. La loro validità era in passato controversa, anche per l’assenza di un’espressa disciplina in materia di limiti al [continua ..]


4. La disciplina convenzionale della sorte delle quote sociali

La compatibilità delle clausole di circolazione ristretta delle partecipazioni sociali con il divieto dei patti successori – e dunque l’insussistenza, sotto questo profilo, di una maggiore appetibilità dell’istituto del patto di famiglia – lascia aperto il delicato problema della tutela patrimoniale degli eredi cui sia precluso l’ingresso in società. In alcuni casi, infatti, costoro hanno diritto di ricevere il valore effettivo della partecipazione a prescindere dalla circostanza che la preclusione si traduca in una lesione della loro quota di riserva, a differenza di quanto avviene in relazione all’istituto di diritto comune: a meno che si preferisca derogare alla previsione statutaria ed ammettere in ogni caso in società i familiari del socio defunto. Il problema riguarda, in particolar modo, le clausole di gradimento, in quanto, operando una selezione tra i soggetti legittimati ad entrare in società, seguono logiche peculiari rispetto alle altre previsioni, come la prelazione mortis causa; quest’ultima preclude in radice l’ingresso degli eredi in società, preferendo l’ingresso di soggetti graditi, ossia i prelazionari, sicché la fattispecie sembra tradursi in un riscatto in favore di tutti o alcuni beneficiari, correlato all’evento-morte di un socio [[38]], cui consegue la liquidazione agli eredi il valore effettivo della partecipazione secondo le norme previste per il recesso [[39]]. Del pari, è possibile riscontrare una mera preclusione all’ingresso nell’ipotesi di mero gradimento – là dove il placet della società sia in concreto negato – nella cui ipotesi la legge riconosce, sia nella s.p.a. che nella s.r.l., il diritto degli eredi di ricevere il valore effettivo della partecipazione. È quanto emerge dalla lettura dell’art. 2355-bis, 2° comma, c.c. per la s.p.a. – applicabile anche ai trasferimenti mortis causa – e dell’art. 2469, 1° comma, c.c. per la s.r.l. [[40]]. Ne consegue che in ipotesi di mera preclusione all’ingresso degli eredi in società, costoro hanno diritto di ricevere il valore effettivo delle partecipazioni. Più delicato è il caso in cui l’atto costitutivo non precluda tout court l’ingresso in società, ma lo subordini alla sussistenza di [continua ..]


5. Trasferimento mortis causa delle quote di s.r.l. e selezione all’ingresso degli eredi

L’inserimento di una clausola statutaria che introduce determinati requisiti per legittimare l’ingresso in società degli eredi del socio è uno strumento particolarmente congeniale ai piani di predisposizione successoria, in quanto permette di determinare preventivamente i futuri assetti proprietari. La sua operatività consente di individuare quali siano i soggetti legittimati a fare ingresso in società, prevenendo le criticità che si verificano in occasione del passaggio generazionale, determinate da una compagine sociale eccessivamente complessa e frammentata. La selezione all’ingresso degli eredi assicura la governabilità della società in seguito al subentro delle nuove generazioni, sebbene l’operatività di simili clausole desti alcune perplessità. Ciò avviene soprattutto quando le medesime si traducono in un’intrasferibilità di fatto della partecipazione sociale, il che si verifica quando lo statuto contempli presupposti particolarmente stringenti per legittimare l’in­gres­so in società, fino al punto di impedire in pratica la cessione delle partecipazioni, non rinvenendosi alcun soggetto che rispetti i requisiti ivi indicati. Al riguardo, conviene soffermare l’attenzione sulla disciplina della società a responsabilità limitata, nella quale vi è una puntuale regolamentazione di tale ipotesi, atteso che, come è noto, l’art. 2469, 2° comma, c.c. riconosce agli eredi del socio defunto il diritto di recesso nell’ipotesi in cui i limiti al trasferimento delle quote per causa di morte si traducano in un’incedibilità «nel caso concreto» delle medesime [[42]]. Una regolamentazione dell’incedibilità di fatto, invero, non è contemplata in relazione ai trasferimenti per atto tra vivi, dato che l’art. 2469, 1° comma, c.c. si limita a prescrivere la possibilità di introdurre limiti al trasferimento delle partecipazioni ed a tale riguardo è stata negata la possibilità di estendere una soluzione analoga alla regola applicabile ai limiti al trasferimento per causa di morte [[43]], valorizzando un’interpretazione restrittiva delle ipotesi di recesso come canone interpretativo di carattere generale [[44]]. Nei trasferimenti per causa di morte, la liquidazione della quota, in caso di [continua ..]


NOTE