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Brevi note in tema di interpretazione delle clausole di prelazione statutaria
Andrea Galleano
La pronuncia in nota si colloca nell’ambito di un diffuso orientamento giurisprudenziale teso ad applicare le clausole di prelazione statutaria in senso restrittivo, talora offrendone un’interpretazione strettamente letterale, talora attraverso una valorizzazione della realtà economica sottesa alle fattispecie esaminate a discapito della titolarità formale delle partecipazioni. Se l’impostazione restrittiva si fonda sul noto principio generale di libera trasferibilità delle azioni, può essere tuttavia messo in dubbio che questo costituisca ancora un elemento essenziale ed imprescindibile della partecipazione azionaria, potendo essere fortemente limitato dall’autonomia statutaria. A fronte dell’adozione di modelli statutari “chiusi” non sembra pertanto possibile escludere in via assoluta la possibilità di accedere ad interpretazioni di carattere estensivo delle clausole in esame.
The judgement shows a widespread jurisprudential tendency to restrictively apply the pre-emption clause through a literal interpretation of the clause or through an interpretation aimed at giving more value to the economic reality underlying the cases examined compared to the formal ownership of the shares. This restrictive approach is based on the general principle of free transferability of the shares, which however may no longer be considered an essential and necessary element of the shareholding, as it can be severely limited by the company articles of association. When a “closed” company model is adopted, a broad interpretation of the clauses in question may therefore be possible.
KEYWORDS: Pre-emption clauses – Interpretation – Change of control.
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Sommario:
1. Il caso - 2. La normativa di riferimento - 3. I precedenti giurisprudenziali - 4. La dottrina - 5. Il commento - NOTE
1. Il caso
Con ricorso d’urgenza ai sensi dell’art. 700, c.p.c., alcuni soci della Alfa S.p.A., chiedevano al Tribunale di Roma di dichiarare l’inefficacia verso la società e nei loro confronti della cessione dell’intero capitale sociale di Beta S.p.A., anch’essa socia di Alfa, ad un soggetto terzo. Tale operazione, secondo i ricorrenti, integrava infatti una violazione dell’ampia clausola di prelazione contenuta nello statuto di Alfa, configurando un’ipotesi “indiretta” di trasferimento delle partecipazioni realizzata attraverso il mutamento del controllo del socio. L’art. 11 dello statuto sociale di Alfa disponeva appunto il diritto dei soci ad essere preferiti quali cessionari in ogni ipotesi di trasferimento delle azioni per atto tra vivi, ossia in “tutti i negozi di alienazione, nella più ampia accezione del termine e quindi, oltre alla vendita, a puro titolo esemplificativo, i contratti di permuta, conferimento, dazione in pagamento, trasferimento del mandato fiduciario e donazione”. Ebbene, nella ricostruzione di parte ricorrente, le esigenze sottese ad una siffatta clausola limitativa della circolazione delle azioni, individuate dallo statuto negli “interessi della società alla omogeneità della compagine sociale, alla coesione dei soci ed all’equilibrio dei rapporti tra gli stessi”, dovrebbero riscontrarsi anche nel caso in esame. In particolare, sotto il [continua ..]
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2. La normativa di riferimento
La clausola di prelazione è generalmente qualificata come un’ipotesi di prelazione c.d. convenzionale o volontaria [2], figura rispetto alla quale occorre innanzitutto mettere in luce l’assenza nel nostro ordinamento di una disciplina di carattere generale [3]. La legge, come è noto, si limita infatti a stabilire singole ipotesi di prelazione c.d. legali, delle quali si afferma pacificamente il carattere tassativo [4]. La possibilità di includere negli statuti sociali clausole che attribuiscano ai soci un diritto di prelazione è peraltro pacificamente riconosciuta dall’ampia formulazione dell’art. 2355-bis c.c. – norma applicabile analogicamente alla S.r.l. in virtù del primo comma dell’art. 2469 [5] – che si limita a consentire l’apposizione di particolari condizioni o veri e propri divieti alla trasferibilità delle partecipazioni. Che la clausola di prelazione non integri un divieto ma soltanto una modalità di cessione delle azioni costituisce peraltro un dato pacifico tanto in dottrina quanto in giurisprudenza [6]. Tale affermazione appare poi di tutta evidenza se si considera che, riconoscendosi agli altri soci un mero diritto ad essere preferiti, non risulta eccessivamente leso il diritto del singolo di alienare la propria partecipazione sociale [7]. L’unico obbligo in capo al cedente è infatti [continua ..]
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3. I precedenti giurisprudenziali
La decisione in epigrafe rappresenta senza dubbio un’ulteriore manifestazione delle persistenti problematiche interpretative che, nel silenzio della legge, circondano la figura della prelazione statutaria. [9] La natura non meramente teorica di tali questioni è d’altronde confermata dalla moltitudine di pronunce con le quali la giurisprudenza di merito e di legittimità è stata chiamata a confrontarsi con la clausola prelatizia, la cui violazione da parte dei soci si rivela decisamente non infrequente [10]. Innanzitutto, un nodo interpretativo ad oggi ancora parzialmente irrisolto è rappresentato dall’individuazione dell’efficacia del vincolo prelatizio e così dalle conseguenze che alla sua violazione debbono essere ricondotte. In particolare, risulta oggi prevalente l’orientamento che attribuisce alla clausola di prelazione valenza di vera e propria regola organizzativa della società, circostanza da cui si fa generalmente discendere la sua efficacia reale [11]. Tuttavia, se può dirsi largamente condivisa la regola per cui il trasferimento della partecipazione sociale in spregio della prelazione sia improduttivo di effetti, la giurisprudenza si mostra ancora incerta nel riconoscere a detta inefficacia carattere assoluto, con conseguente inopponibilità della cessione sia alla società che ai soci pretermessi, o relativo, con limitazione della regola di [continua ..]
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4. La dottrina
Anche in dottrina si è avvertita l’esigenza di sopperire in via interpretativa al rigoroso silenzio osservato dal legislatore sulla disciplina applicabile alle clausole di prelazione statutaria, con particolare riferimento alle delicate questioni della loro efficacia e delle conseguenze da ricondursi alla loro non infrequente violazione. L’indagine muove innanzitutto dalla natura degli interessi sottesi al patto di prelazione, rispetto ai quali, come sottolineato anche dall’ordinanza in nota, esso realizza un delicato equilibrio [21]. Come già ricordato, infatti, all’interesse del socio ad alienare la propria partecipazione sociale si oppone evidentemente quello degli altri, uti singuli, ad evitare l’ingresso in società di terzi non graditi o a non vedere alterati gli originari rapporti di forza. Tuttavia, secondo l’opinione prevalente, accolta anche in giurisprudenza, sussiste nella clausola di prelazione anche un interesse di natura sociale. Costituisce infatti un punto generalmente condiviso che il patto di prelazione collocato nello statuto assuma uno spiccato carattere sociale, elevandosi da mero accordo parasociale a vera e propria regola organizzativa della società [22]. Pertanto, l’interesse alla conservazione dell’omogeneità della compagine sociale risulta in questo caso riferibile anche alla società stessa, la quale attraverso la [continua ..]
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5. Il commento
Si può legittimamente affermare che la decisione del Tribunale romano sia espressione di quel filone giurisprudenziale attento ad evidenziare la natura eccezionale della clausola di prelazione e a negare la possibilità di estenderne analogicamente il campo di applicazione. In particolare, l’approccio in chiave restrittiva si manifesta in questo caso attraverso una precisa scelta nei confronti di un canone ermeneutico di natura strettamente letterale, che conduce il giudice a limitare l’operatività del vincolo prelatizio alle sole fattispecie in cui abbia luogo un vero e proprio trasferimento della titolarità formale delle azioni. Si è tuttavia messo in luce che la stessa impostazione di taglio restrittivo, largamente sostenuta in giurisprudenza e fondata sul menzionato rapporto di regola-eccezione con il principio di libera trasferibilità della partecipazione azionaria, abbia in più occasioni portato, al contrario, a limitare il sorgere del diritto di essere preferiti alle sole ipotesi realmente – i.e. sostanzialmente – traslative. Risulta pertanto agevole apprezzare la singolare circostanza per cui l’interpretazione letterale di una clausola statutaria non coincida necessariamente con una sua lettura restrittiva. Ed invero, in relazione al conferimento in società integralmente controllata, il dato letterale costituito dall’avvenuto trasferimento delle azioni viene [continua ..]
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NOTE