Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
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Sull'impugnabilità delle decisioni del consiglio di amministrazione di s.r.l. (nota a Trib. Milano, 1 marzo 2012) (di Massimo Rossi)


TRIBUNALE DI MILANO, 1 marzo 2012 – Riva Crugnola Presidente Relatore – M.T. (avv. Napolitano) c. Frank s.r.l., R.Z., G.B. (avv. Merlo)

 Società di capitali – Società a responsabilità limitata – Deliberazioni del consiglio di amministrazione – Impugnabilità – Applicazione analogica della disciplina della società per azioni

(Art. 2388 c.c.)

La carenza di una compiuta disciplina delle decisioni del consiglio di amministrazione di s.r.l. costituisce una lacuna normativa colmabile con l’applicazione analogica dell’art. 2388, 4° e 5° comma, c.c., dettato in materia di società per azioni, che è espressione di un principio generale di “sindacabilità” delle decisioni dell’organo amministrativo di società di capitali contrarie alla legge o allo statuto (1).

La previsione dell’art. 2388, 4° e 5° comma, c.c. è preordinata ad accentuare il regime di stabilità delle decisioni dell’organo gestorio, poiché, non operando alcuna distinzione tra ipotesi di annullabilità e nullità, consente l’impugnabilità delle delibere solo ai soggetti specificatamente indicati ed entro il termine di decadenza previsto, a prescindere dalla “gravità” del vizio denunciato (2).

TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO

SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA B

Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:

dott. ELENA RIVA CRUGNOLA                          Presidente relatore

dott. ENRICO CONSOLANDI                            Giudice

dott. ALESSANDRA DAL MORO                        Giudice

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al n. r.g. 30256/2010 promossa da:

M.T., con il patrocinio dell’avv. FRANCESCO NAPOLITANO

Attore

contro

FRANK SRL

  1. Z.
  2. B.

tutte e tre con il patrocinio dell’avv. ANDREA MERLO

Convenute

 

CONCLUSIONI

 

Le parti hanno concluso come da fogli inseriti nel fascicolo d’ufficio.

 

Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione

L’attore M. T. (socio unitamente alle due convenute Z. e B., rispettivamente sua moglie e sua suocera, in FRANK SRL nonché componente del cda della stessa società) con la citazione:

  1. A) ha impugnato la delibera del cda della srl del 13.4.2010 recante sua revoca dal ruolo di presidente dell’organo gestorio con conseguente revoca dei “poteri di rappresentanza della società e gli annessi poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione” nonché nomina a presidente del cda della B.;
  2. B) ha svolto domanda di revoca di Z. e B. dalla carica di amministratore della srlex 2476 cc terzo comma;

sub A):

  • lamentando la radicale invalidità (se non addirittura l’inesistenza) della delibera 13.4.2010, in quanto solo apparentemente adottata dal Cda della srl FRANK: in realtà, infatti, a dire del T., nessuna convocazione del Cda sarebbe stata effettuata da alcuno quanto alla data del 13.4.2010, giorno nel quale egli incontrò sì le altre due socie e amministratrici presso lo studio della commercialista della società, dr. Tu., ma:

– essendo stato invitato dalla Tu. (non già per partecipare a una riunione dell’organo gestorio ma) per discutere con le altre due socie dei futuri assetti delle tre società di loro pertinenza (srl CORSERO, srl ROBERTA e, appunto, srl FRANK) in relazione alle sopravvenute tensioni coniugali fra il T. e la moglie Z.,

– ed essendosi poi egli allontanato dallo studio della Tu. subito dopo che gli era stata manifestata l’intenzione delle altre due socie di procedere alla deliberazione di revoca,

– cosicché, in sostanza, la sua presenza (contemporaneamente a quella delle altre due amministratrici) non potrebbe essere di per sé ricollegata ad alcuna effettiva partecipazione ad un Cda totalitario né, tantomeno, alla deliberazione poi verbalizzata come adottata all’unani­mità da tutto il Cda;

  • denunciando quindi i vizi di abuso di maggioranza, di falso ideologico (dal verbale della riunione del cda risultando una decisione unanime assolutamente non ricorrente) e di assenza di giusta causa di revoca;
  • e chiedendo quindi declaratoria di“inesistenza e/o nullità e/o annullabilità” della delibera del cda della srl del 13.4.2010;

sub B) richiamando quali motivi di revoca la illiceità della condotta della Z. e della B. in occasione in particolare del cda del 13.4.2010, la loro palese incapacità gestoria e la strumentalizzazione della carica in danno del T.

Le domande dell’attore sono state contrastate dalle tre convenute (la srl, in persona della B., nonché la B. e la Z.) per plurimi profili, avendo poi il g.i. rilevato all’udienza del 21.2.2011 la necessità di nomina di curatore speciale della srl in riferimento alla domanda di revoca delle due convenute amministratrici, con successiva dichiarazione del difensore dell’attore, all’udienza del 3.5.2011 di rinuncia a tali domande, “in considerazione delle difficoltà economiche dell’attore e della impossibilità di fare fronte alle spese per la nomina del curatore speciale”.

Ritenuta quindi dal g.i., all’esito del deposito delle memorie ex art. 183 c.p.c. sesto comma, la causa matura per la decisione, all’udienza del 22.11.2011 la difesa del T. ha peraltro precisato le conclusioni richiamando quelle formulate in citazione.

La decisione della lite così delineata richiede la soluzione di una serie di questioni pregiudiziali rispetto all’esa­me del merito delle domande.

In primo luogo, quanto alla domanda sub A, va risolta la questione interpretativa in ordine alla stessa impugnabilità, per le srl, delle deliberazioni del consiglio di amministrazione, questione per la verità neppure discussa tra le parti ma da esaminarsi d’ufficio riguardando la stessa legittimazione dell’attore: come è noto, infatti, per le srl la disciplina normativa si limita a dettare regole di base in tema di “amministrazione della società” e di “rappresentanza della società” negli artt. 2475 e 2475bis cc, prevedendo poi nell’art. 2475ter cc, sotto la rubrica “conflitto di interessi”, l’annullabilità – a determinate condizioni – dei contratti conclusi dagli amministratori che versano in conflitto di interessi con la società (primo comma) nonché la impugnabilità – entro novanta giorni – delle decisioni patrimonialmente pregiudizievoli per la società adottate dal cda con il voto determinante di un amministratore in conflitto di interessi (secondo comma), senza alcun richiamo alla specifica disposizione dettata dall’art. 2388 cc per le spa quanto alla “validità delle deliberazioni del consiglio” e in particolare quanto alla impugnabilità – entro novanta giorni dalla loro adozione – delle deliberazioni non conformi alla legge o all’atto costitutivo da parte del collegio sindacale e degli amministratori assenti o dissenzienti ovvero da parte dei soci in riferimento alle sole deliberazioni “lesive dei loro diritti”.

A fronte di tale contesto normativo sono state prospettate due diverse opzioni interpretative:

  • la prima che valorizza il silenzio del codice in tema di srl e ne ricava una specifica scelta del legislatore nel senso della accentuazione, per le srl e in considerazione delle caratteristiche di tale tipo di società, del regime di stabilità delle deliberazioni del cda, impugnabili solo nell’ipotesi espressamente prevista del conflitto di interessi,
  • la seconda che configura invece come lacuna la carenza di una compiuta disciplina normativa delle decisioni del cda nelle srl e ritiene tale lacuna colmabile con il richiamo alle norme in tema di spa in particolare quanto alla impugnabilità di tali decisioni.

Rispetto a tali due possibilità interpretative reputa il Tribunale che debba condividersi (come già ha ritenuto il g.d. nel procedimento cautelare n. 28537/2010 instaurato dal T. contemporaneamente alla notifica della citazione) la seconda opzione sopra delineata e ciò in ragione:

  • da un lato della effettiva carenza nel tessuto normativo di una compiuta disciplina delle decisioni del consiglio di amministrazione di srl, disciplina non ricavabile dallo scarno tenore dell’art. 2475 cc,
  • dall’altro della lettura della disciplinaex art. 2388 cc come espressiva di un principio generale di “sindacabilità” – ad iniziativa degli amministratori assenti o dissenzienti ovvero dei soci – delle decisioni dell’organo amministrativo di società di capitali contrarie alla legge o allo statuto,

così realizzandosi una operazione ermeneutica omogenea all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale – nel vigore della normativa anteriore alla riforma del 2003 – le regole di impugnabilità delle deliberazioni assembleari dettate dall’art. 2377 cc erano state ritenute espressive di un principio generale di sindacabilità delle deliberazioni di tutti gli organi sociali per contrarietà alla legge o all’atto costitutivo, principio generale all’epoca ritenuto quindi applicabile anche alle delibere del cda, pur in presenza di una previsione normativa allora limitata alla sola impugnabilità (sia per la spa che per le srl) delle deliberazioni consiliari adottate con il voto determinante di un amministratore versante in conflitto di interessi.

Posta dunque l’impugnabilità (anche) delle deliberazioni adottate dal cda di srl in contrasto con la legge e con l’atto costitutivo dell’ente in applicazione del principio generale espresso dall’art. 2388 cc per le spa, ne deriva poi che tale impugnabilità va circoscritta negli stessi limiti previsti dalla disposizione in materia di spa, limiti che, secondo la preferibile interpretazione, sono preordinati ad accentuare il regime di stabilità delle deliberazioni dell’organo gestorio rispetto a quello proprio delle deliberazioni dell’organo as­sembleare, in particolare la disciplina ex art. 2388 cc sotto il titolo di “validità delle deliberazioni del consiglio” non operando per le prime (a differenza di quanto previsto per le seconde dagli artt. 2377 e 2378 cc) alcuna distinzione tra ipotesi di c.d. “annullabilità” e “nullità”, così consentendo l’impugnabilità delle delibere del cda in ogni caso solo ai soggetti specificatamente indicati ed entro il termine di decadenza previsto, e ciò a prescindere dalla “gravità” del vizio denunciato, salva l’ipotesi estrema di delibera inesistente, vale a dire di delibera non riconducibile in alcun modo a una manifestazione di volontà – sia pure irrituale – di organo gestorio.

In applicazione della ricostruzione interpretativa fin qui seguita deve quindi ritenersi che l’attore, socio e componente del cda della srl al momento della deliberazione 13.4.2010 nonché al momento della notificazione della citazione fosse dotato di legittimazione ad agire al momento della introduzione della lite quanto alle domande sub A) relative a vizi di nullità e di annullabilità della delibera impugnata.

Ciò posto, va peraltro poi rilevato che le convenute hanno eccepito il venir meno di tale legittimazione nel corso del processo, in dipendenza della vicenda di ricostituzione del capitale conseguente alla adozione da parte dell’assemblea dei soci del 23.7.2010, in sede straordinaria, di delibere di approvazione di situazione patrimoniale recante perdite superiori al capitale sociale, nonché del conseguente azzeramento dello stesso con sua contestuale ricostituzione, cui il T. non ha partecipato, perdendo quin­di la qualità di socio (cfr. docc. 46B, 47B), nonché in dipendenza delle deliberazioni adottate, in via ordinaria sempre il 23.7.2010, dall’assemblea dei soci quanto alla sostituzione dell’organo gestorio (cfr. quanto affermato dalla difesa delle convenute all’udienza del 18.1.2011 senza alcuna smentita da parte dell’attore): eccezione questa contrastata dall’attore in riferimento alla intervenuta impugnazione da parte sua delle delibere assunte in via straordinaria il 23.7.2010 dall’assemblea dei soci della, con instaurazione di un distinto procedimento.

L’esame di tale eccezione delle convenute non pare peraltro necessario al Tribunale, posto che dagli atti processuali emerge comunque una ulteriore questione preliminare da risolvere in senso dirimente ed assorbente: si tratta della questione riguardante la carenza di interesse del T. alla impugnazione della deliberazione del cda della srl del 13.4.2010 per essere stata tale deliberazione sostituita da quella successivamente adottata, sugli stessi temi attinenti alla distribuzione dei poteri gestori all’interno del cda, nella riunione del consiglio del 20.4.2010, questa volta tempestivamente convocata dalla B. quale presidente del cda (cfr. doc. 36 fascicolo procedimento cautelare delle convenute, qui prodotto) e tenutasi prima della notificazione della citazione introduttiva del presente procedimento avvenuta il 29.4.2010.

La delibera del cda del 20.4.2010 non è stata infatti oggetto di specifica impugnazione da parte dell’attore, né nel presente procedimento (cfr. le conclusioni e l’intero contenuto dell’atto di citazione, ove si richiama l’adozione di tale delibera solo a conferma della illiceità della prima, senza chiedere alcuna declaratoria di invalidità della decisione del cda del 20.4.2010) né, a quanto risulta in atti, con distinta citazione: data dunque la odierna efficacia di tale delibera, che ha ribadito e ratificato quanto portato dal verbale del cda del 13.4.2010, ne consegue il venir meno di ogni interesse del T. quanto alla rimozione della prima delibera qui impugnata 1, non più destinata ad operare auto-

 

_______

[1] La conclusione di cui al testo costituisce applicazione dei principi generali in materia di interesse ad agire, principi sottesi, secondo la preferibile interpretazione, anche alla specifica disposizione di cui al penultimo comma dell’art. 2377 c.c. disciplinante il regime di annullabilità delle deliberazioni assembleari di spa e secondo il quale: «L’annullamento della deliberazione non può aver luogo se la deliberazione impugnata è sostituita con altra presa in conformità della legge e dello statuto.».

 

mamente, con cessazione della materia del contendere quanto alla richiesta declaratoria di inesistenza, nullità e annullamento della delibera del 13.4.2010 di cui alla domanda subA) dell’attore.

Ad analoga conclusione di carenza (questa volta sopravvenuta) di interesse ad agire dell’attore deve poi pervenirsi (con valenza assorbente di ogni altra questione preliminare e in particolare di quelle relative alla intervenuta rinuncia dell’attore alla sua seconda domanda) anche quanto alla domanda sub B), tale domanda avendo ad oggetto la revoca dalla carica gestoria di due componenti dell’organo amministrativo che medio tempore è stato sostituito, come si è detto sopra, dalla delibera adottata dal­l’assemblea dei soci tenutasi in via ordinaria il 23.7.2010, delibera che anch’essa non risulta impugnata dall’attore.

Per quanto fin qui detto va dunque preso atto della cessazione della materia del contendere rispetto a tutte le domande del T., per essere venuto meno ogni interesse dell’attore alle pronunce richieste, con assorbimento di ogni altra questione di merito prospettata dalle parti.

Le spese di causa possono essere interamente compensate tra tutte le parti, in considerazione delle peculiarità della vicenda e in particolare del carattere palesemente irrituale della convocazione del cda del 13.4.2010 (rispetto alla quale la versione del T. è stata sostanzialmente confermata dalle dichiarazioni della Z. in sede di udienza cautelare: “la dr. Tu. non era riuscita a convocare per iscritto il dr. T. perché si trovava in quell’epoca spesso all’estero e quindi lo raggiunse per telefono, quel giorno lesse poi il verbale recante la revoca della delega al T., lui non disse niente ma si irritò quando dopo questa lettura gli venne detto che avrebbe dovuto restituire beni aziendali quali la vettura AUDI, dopo che gli venne comunicato questo si allontanò”, dichiarazioni queste dalle quali pare ricavabile lo svolgimento di fatto di una riunione del Cda ad iniziativa delle sole due componenti B./Z. con brusco allontanamento del T. prima della verbalizzazione).

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

dichiarata la cessazione della materia del contendere in relazione a tutte le domande dell’attore, compensa integralmente tra tutte le parti le spese del giudizio.

 

Milano, 1 marzo 2012.

il Presidente est.

Elena Riva Crugnola

SOMMARIO:

1. Il caso - 2. La normativa di riferimento e gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali - 3. Il commento - 4. Segue - NOTE


1. Il caso

La sezione specializzata in materia d’impresa del Tribunale di Milano era chiamata a pronunciarsi sul­l’impugnazione di una deliberazione del consiglio di amministrazione di una società a responsabilità limitata promossa da uno dei soci, presidente del­l’or­gano gestorio, che ne lamentava l’invalidità, se non addirittura l’inesistenza, a motivo sia della carenza della convocazione, sia del difetto della presenza totalitaria degli amministratori alla riunione. In particolare, l’attore – che con l’impugnata deliberazione adottata in data 13 aprile 2010 era stato privato della carica di presidente del c.d.a., nonché di talune deleghe esecutive – denunciava che la riunione nella quale le altre due componenti dell’or­gano amministrativo della società avevano adottato la decisione de qua non era stata previamente convocata, né poteva ritenersi totalitaria in considerazione del fatto che egli era stato invitato dalle altre due amministratrici, anch’esse socie, presso lo studio del commercialista della società non già per partecipare a una riunione del consiglio di amministrazione, ma per discutere degli assetti di tre società partecipate, in considerazione dei dissidi extra sociali sorti fra costoro, e che se ne era allontanato non appena aveva avuto consapevolezza dell’intenzione delle due socie amministratrici di adottare la predetta decisione di revoca. L’attore lamentava pure l’abuso di maggioranza delle due socie amministratrici e il falso ideologico discendente dalla documentazione nel libro delle decisioni del consiglio di amministrazione di una deliberazione mai adottata, tanto più all’unanimità. In secondo luogo, con domanda successivamente rinunciata, l’attore promuoveva la revoca delle due socie amministratrici ai sensi dell’art. 2476, 3° com­ma, c.c. «per la loro palese incapacità gestoria e per la strumentalizzazione della carica ai danni» del ricorrente. Resistevano alle domande la società e le due amministratrici convenute, eccependo, fra l’altro, l’in­tervenuta cessazione della legittimazione ad agire dell’attore a causa della sopravvenuta perdita dello status di socio. Il Tribunale di Milano ha tuttavia rigettato entrambe le domande ritenendo carente [continua ..]


2. La normativa di riferimento e gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali

Sul problema dell’impugnabilità delle decisioni consiliari la novellata disciplina della s.r.l. replica in termini sostanzialmente coincidenti [1] quella originariamente prevista per le società per azioni nell’art. 2391, vecchio stile, c.c. e applicata anche alle società a responsabilità limitata in forza del generale rinvio in allora operato dall’art. 2487, 2° comma, vecchio stile, c.c., a mente della quale, come si ricorderà, potevano essere impugnate dagli amministratori assenti o dissenzienti e dai sindaci le decisioni del consiglio di amministrazione potenzialmente dannose, là dove fossero state adottate con il voto determinante di un amministratore in conflitto di interessi. In quel sistema, la circostanza che l’impugnazione delle deliberazioni consiliari fosse espressamente contemplata soltanto per il caso del conflitto d’inte­ressi non aveva impedito a una significativa parte della dottrina e della giurisprudenza di ritenere vigente un principio generale d’impugnabilità delle decisioni degli amministratori, perlopiù dedotto dal complesso delle norme in tema di invalidità delle deliberazioni assembleari, alle quali poi, sul piano operativo, si guardava per rintracciare la disciplina applicabile analogicamente all’impugnazione delle deliberazioni consiliari [2]. In particolare, dopo un’iniziale e prolungata chiusura da parte della Corte di Cassazione [3], fondata sul­l’assenza di un’espressa disciplina dell’impu­gnabi­lità delle deliberazioni consiliari e sulla natura asseritamente eccezionale dei rimedi previsti, rispettivamente, agli artt. 2377 ss. c.c. in tema di deliberazioni assembleari, e all’art. 2391 c.c. in materia di de­liberazioni consiliari invalide per conflitto d’inte­ressi [4], si era progressivamente assistito a un revirement di quell’indirizzo da parte sia delle corti di merito, sia dello stesso giudice di legittimità; e mentre le prime tendevano a rigettare la natura eccezionale dell’impugnazione contemplata nell’art. 2391 c.c., la Suprema Corte aveva progressivamente aperto la strada all’impugnabilità da parte dei soci e dei terzi delle deliberazioni consiliari lesive di diritti soggettivi [5]. Con l’effetto di ritenere applicabili le norme in punto [continua ..]


3. Il commento

Dinanzi a un panorama a tal punto variegato, dal quale emerge la complessità dei problemi connessi al tema dell’impugnabilità delle decisioni del consiglio di amministrazione, s’inserisce adesso la decisione del Tribunale di Milano, che tuttavia lascia insoddisfatti sia per la soluzione offerta al problema, sia per il percorso argomentativo impiegato, che, nella sua sinteticità, si presenta sotto taluni profili insufficiente e, sotto altri, non adeguatamente idoneo a cogliere i profili funzionali del rimedio dell’impu­gnabilità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione e i tratti innovativi della società a responsabilità limitata. La sentenza si fonda su tre premesse, per noi tut­t’altro che scontate: la prima è quella che qualifica la mancanza di una «compiuta disciplina delle decisioni del consiglio di amministrazione» come lacuna normativa della s.r.l. da colmare attingendo alle previsioni dettate per la società per azioni; la seconda è quella che rintraccia nell’art. 2388, 4° e 5° comma, c.c., previsto in tema di s.p.a., la codificazione del principio generale e unitario, immanente già nel sistema originario del codice civile, disindacabilità mediante impugnazione delle decisioni «dell’organo amministrativo di società di capitali contrarie alla legge e allo statuto»; la terza, infine, è quella sovrappone, sul piano funzionale, le invalidità negoziali con l’impugnabilità degli atti collegiali, ponendo sul medesimo livello il rilievo giuridico dell’atto e la sua idoneità a produrre effetti. Assunti questi dati del discorso, è evidente come sia particolarmente agevole per il giudice milanese estendere l’applicazione dell’art. 2388, 4° e 5° com­ma, c.c. alle decisioni del consiglio di amministrazione di società a responsabilità limitata «negli stessi limiti previsti dalla disposizione in materia di spa, limiti che, secondo la preferibile interpretazione, sono preordinati ad accentuare il regime di stabilità delle deliberazioni dell’organo gestorio rispetto a quello proprio delle deliberazioni dell’organo assembleare». Conclusione, poi, ulteriormente facilitata dai peculiari profili del caso, che esimevano il Tribunale dal precisare [continua ..]


4. Segue

Tradizionalmente, si segnala come un problema di invalidità delle decisioni degli amministratori si pon­ga soltanto per il caso in cui la funzione gestoria sia assegnata a figure pluripersonali, giacché si osserva che nell’ambito di uffici monocratici il momento deliberativo, nel quale matura una determinata scelta di gestione, non assume autonomo rilievo rispetto all’atto o, più ampiamente, all’attività gestoria. È noto, infatti, che quando incaricate della gestione siano più persone, conformemente alla lezione tradizionale – discendente, fra l’altro, dall’art. 2380-bis, 3° comma, c.c. (e, in origine, dell’art. 2380, 2° comma, c.c.), a mente del quale costoro costituiscono il consiglio di amministrazione – lo svolgimento dell’incarico gestorio e, più specificamente, la determinazione delle scelte di amministrazione, seguono il metodo collegiale: in estrema sintesi, tale tecnica, indispensabile per regolare l’operatività di una figura unitaria, impone che ciascuna decisione costituisca l’esito di una vicenda procedimentale che veda, almeno in potenza, il coinvolgimento di tutti i membri dell’ufficio, mediante idonea convocazione, a partecipare, se del caso anche con modalità di comunicazione a distanza, a una riunione (in vero non più imprescindibile nella s.r.l., stanti le modalità della decisione per consultazione scritta o per consenso espresso per iscritto) nell’ambito della quale le singole materie all’ordine del giorno sono poste in discussione e votazione, risultando approvate quelle proposizioni sulle quali converga il maggior numero dei voti [45]. In verità, anche per l’ipotesi di figura pluripersonale non è questa l’unica modalità attraverso la quale è consentito che nelle società azionarie si puntualizzi l’attività gestoria: non soltanto, infatti, la cosiddetta inderogabilità del metodo collegiale è da taluno posta in discussione – avanzandosi l’ipotesi, adesso suffragata anche dall’art. 2392, 1° comma, c.c. che fa riferimento alle cosiddette deleghe interne e, dunque, a forme operative ascrivibili al metodo cosiddetto di amministrazione disgiuntiva [46] – ma, più in generale, è in ogni caso [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2013