Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
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Acquisto di azioni da parte di coniugi in comunione legale, successiva separazione personale e legittimazione all´esercizio dei diritti sociali (di Gianluca Carlini)


(Omissis)  Il Tribunale (omissis). In partenza, non è contestabile la tesi secondo cui anche le azioni e le quote di società costituiscono incrementi patrimoniali rientranti tra gli acquisti di cui all’art. 177, lett. a, c.c., e quindi nell’oggetto della comunione tra coniugi, in quanto, anche se esse non sono meri titoli di credito, ma titoli di partecipazione, l’aspetto patrimoniale è assolutamente prevalente rispetto ai diritti e agli obblighi connessi con lo status di socio in essi incorporato (cfr. Cass., sez. I, 23 settembre 1997, n. 9355; Cass., sez. I, 18 agosto 1994, n. 7437; per un precedente di questo Tribunale, Trib. Salerno, sez. I, 24 ottobre 2006, in www.iuritalia.it). Nella specie, si sarebbe altresì verificata una causa di scioglimento della comunione legale ex art. 191 c.c., per effetto della separazione consensuale omologata. Era poi effettivamente controversa, fino all’entrata in vigore della riforma del diritto societario ex D.Lgs. n. 6/ 2003, la possibilità di nominare, in caso di con titolarità di quote o di azioni di società, un rappresentante comune, in applicazione dell’art. 1105 c.c., discutendosi se la partecipazione sociale si prestasse alla qualificazione come bene suscettibile di titolarità congiunta in capo a più soggetti, con conseguente applicabilità in via diretta della disciplina sulla comunione dei beni (per l’ammissibilità del ricorso all’art. 1105 c.c., ad esempio, cfr. Tribunale Roma 8 novembre 1999, in Società, 2000, 881; per l’inammissibilità della nomina giudiziale del rappresentante comune dei comproprietari delle azioni, cfr. invece Corte appello Roma 24 febbraio 1987, in Giur. mer., 1987, 575). Si evidenziava invero, pur a fronte della lettera dell’art. 2347 c.c. (che, oltre a definire le azioni indivisibili, già nell’originaria formulazione aggiungeva: «nel caso di comproprietà di un’azio­ne, i diritti dei comproprietari devono essere esercitati da un rappresentante comune»), come la disciplina dei diritti amministrativi inerenti all’azione di società in comproprietà fra più titolari fosse diversa da quella prevista dal combinato disposto degli artt. 1105-1108 ex in materia di comunione di altri beni. Rispetto alle norme generali che regolano il caso in cui la proprietà o altro diritto reale spetta in comune a più persone (art. 1100 c.c.), l’art. 2347 regolerebbe dunque la comproprietà di quel particolare bene complesso, costituito dall’azione di società, mediante norma speciale derogatrice (in quanto lex specialis) rispetto alla disciplina generale della comunione. Rilievo determinante assumerebbe in subiecta materia la caratteristica della indivisibilità della partecipazione azionaria, che consegue ad esigenze proprie e peculiari [continua..]
SOMMARIO:

1. Il caso - 2. La normativa di riferimento - 3. L’acquisto di partecipazioni sociali ed in particolare di azioni da parte di un soggetto coniugato in regime di comunione legale. La posizione della dottrina e gli orienta­menti della giurisprudenza - 4. Considerazioni in ordine alla comproprietà di azioni ed alla legittimazione all’eser­ci­zio dei diritti sociali. Il punto della dottrina e della giurisprudenza - 5. Presupposti per la nomina giudiziale del rappresentante comune - 6. Osservazioni conclusive - NOTE


1. Il caso

Tizia, già coniugata in regime di comunione legale dei beni con Tizio, dopo essersi separata consensualmente dal marito, il quale, manente il regime di comunione legale, si era reso acquirente ed unico intestatario di alcune partecipazioni azionarie in due società, si rivolge al Tribunale di Salerno per la nomina del rappresentante comune ai sensi dell’art. 2347 c.c. Tizia assume nel pro­prio ricorso che al momento dell’acquisto da parte del marito si è verificato in suo favore il co-acquisto ex lege della comproprietà delle azioni. Il Tribunale di Salerno però, rilevata l’esistenza di una controversia circa la comproprietà dei titoli azionari, rigetta il ricorso per la nomina del rappresentante comune ed afferma che l’e­sigenza di gestione temporanea delle partecipazioni sociali potrà essere garantita dal sequestro giudiziario ex art. 670 c.p.c., con nomina quindi di un custode di detti titoli e non di un rappresentante comune.


2. La normativa di riferimento

Il provvedimento del Tribunale che si annota richiama espressamente sia gli artt. 177, lett. a), 2347, 1105, 1106 e 1108 c.c., che l’art. 670 c.p.c. La prima norma, in tema di oggetto della comunione legale, dispone che gli acquisti compiuti dai coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio cadono in comunione legale, salvo che si tratti di beni personali. Si discute in particolare sulla dinamica dell’acquisto in capo al coniuge non partecipante al contratto. Secondo un primo orientamento anche in questo caso sorgerebbe direttamente la contitolarità del bene a favore del coniuge estraneo all’atto, in quanto beneficiario ex lege degli effetti del negozio. In senso opposto, sulla base dell’art. 1372 c.c., si limita al solo co­niuge stipulante la titolarità di ogni situazione derivante dal contratto e si afferma che l’acquisto in comunione legale si avrebbe in un momento successivo, attraverso un ritrasferi­mento pro quota delle sole situazioni attive da parte del coniuge stipulante a favore di quello rimasto estraneo all’atto. Si precisa comunque che quest’ultimo non possa essere con­siderato terzo subacquirente rispetto all’originario negozio traslativo, con quanto ne consegue in termini di tutela nei casi di simulazione, di acquisto ai sensi dell’art. 1153, ecc. In ordine all’art. 2347 c.c., nel testo in vigore al 1° gennaio 2004, il legislatore ha statuito che nell’ipotesi di comproprietà di un’azione i diritti dei comproprietari devono essere esercitati da un rappresentante comune nominato secondo le modalità fissate dagli artt. 1105 e 1106 c.c., per cui ai fini della nomina non è necessario il consenso di tutti i soci, essendo ora sufficiente quello della maggioranza per quote dei contitolari. L’art. 1106 c.c. consente, poi, che con la medesima maggioranza possa essere formato un regolamento per l’ordinaria amministrazione e per il miglior godimento della cosa comune e che l’amministrazione possa essere delegata anche ad un estraneo. Come è facile notare, l’ulteriore richiamo del provvedimento in esame all’art. 1108, in tema di innovazioni e di altri atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, è effettuato soltanto in via indiretta, in quanto l’art. 2347 c.c. di per sé non rinvia a tale norma. L’art. 2347 prosegue, poi, disponendo che, qualora il [continua ..]


3. L’acquisto di partecipazioni sociali ed in particolare di azioni da parte di un soggetto coniugato in regime di comunione legale. La posizione della dottrina e gli orienta­menti della giurisprudenza

La questione preliminare posta in evidenza dal provvedimento del Tribunale di Salerno consiste nello stabilire se le partecipazioni societarie in genere e le azioni in particolare siano idonee a costituire oggetto della comunione legale dei beni tra coniugi. Da un lato, la mancanza di indicazioni normative sul punto e, dall’altro, la circostanza che il tema coinvolge tanto profili societari quanto aspetti inerenti ai rapporti patrimoniali della famiglia, sono le ragioni principali che hanno determinato l’ampio dibattito della dottrina e della giurisprudenza in materia. Alcuni autori, per lo più in prossimità della riforma del diritto di famiglia, hanno negato a priori la possibilità che le partecipazioni sociali cadano in comunione legale, basandosi essenzialmente sulla loro natura di diritti di credito: il sistema della comunione legale, si afferma, sarebbe fondato sul concetto di «beni» e parrebbe così limitato ai soli acquisti aventi ad oggetto diritti di proprietà o altri diritti reali. Gli elementi che indurrebbero a tale conclusione deriverebbero, in sintesi: dall’analisi letterale degli artt. 177, 178 e 179, da cui non si evince alcun riferimento a situazioni soggettive sfornite del dato della realità; dal termine «comunione» utilizzato dal legislatore nell’art. 1100 che designa esclusivamente la proprietà o diritti reali minori; infine dalla considerazione che la caduta del diritto di credito in comunione implica la necessità di proteggere la controparte del rapporto obbligatorio, a cui non si potrebbe imporre un onere di preventiva informazione circa il regime patrimoniale del soggetto con il quale conclude il negozio [2]. Si è altresì evidenziato che l’esclusione dei diritti di credito dalla comunione legale si giustificherebbe, rilevando che il rapporto obbligatorio appare spesso come momento strumentale per l’acquisto di un bene finale, sicché sarebbe (semmai) solo l’acquisto di quest’ultimo a cadere in comunione legale [3]. A fronte di questa opinione deve però notarsi che la tesi attualmente prevalente in dottrina [4] ed in giurisprudenza [5], seppure con alcune distinzioni e sfumature, am­mette invece la possibilità di caduta in comunione legale (immediata o de residuo) delle partecipazioni societarie [6]. Tale conclusione è motivata secondo [continua ..]


4. Considerazioni in ordine alla comproprietà di azioni ed alla legittimazione all’eser­ci­zio dei diritti sociali. Il punto della dottrina e della giurisprudenza

Ammessa in linea astratta la caduta in comunione legale dell’acquisto di azioni da parte di un coniuge, occorre ancora stabilire quale sia la posizione dell’altro coniuge, co-acquirente ex lege, nei confronti della società. Al riguardo l’impostazione prevalente ritiene che tale trasferimento operi automaticamente solo nei rapporti interni tra i coniugi, mentre nei confronti dei terzi e della società la legittimazione del coniuge non acquirente all’esercizio dei diritti sociali resti sempre subordinata alla cointestazione delle azioni e/o all’iscrizione nel libro dei soci [19]. In mancanza di questo adempimento sarà esclusivamente il coniuge acquirente ad intrattenere i rapporti con la società, essendo l’unico a rivestire la qualità di socio. Di questo aspetto peraltro la decisione non si occupa, omettendone qualsiasi cenno. A questo punto deve essere accertata la modalità di gestione della partecipazione comune ed in particolare occorre verificare se la fattispecie della comproprietà ordinaria dell’azione, regolata espressamente dall’art. 2347 c.c. (che, come noto, prevede la nomina di un rappresentante comune), sia da distinguere rispetto a quella della partecipazione sociale caduta in comunione legale dei coniugi. Nonostante non sia mancato chi, in presenza della particolare forma di comproprietà costituita dalla comunione legale, abbia proposto l’applicabilità della disciplina della gestione dei beni secondo le regole del regime patrimoniale legale della famiglia [20], sembra preferibile l’opinione della dottrina che richiama anche per tale fattispecie l’art. 2347 c.c., in quanto norma speciale posta a tutela dell’organizzazione sociale, la quale è destinata a prevalere sull’ordinamento interno dei rapporti patrimoniali dei coniugi [21]. Pertanto in caso di azioni cointestate ai coniugi in comunione legale l’esercizio dei diritti sociali resta subordinato alla nomina del rappresentante comune. Nel caso di specie, peraltro, non sussistevano dubbi sull’utilizzabilità della norma da ultimo indicata, essendo sopravvenuta, rispetto all’acquisto delle azioni, la separazione consensuale omologata dei coniugi, evento che aveva determinato lo scioglimento della comunione legale (art. 191 c.c.) e la creazione di una comunione ordinaria tra i medesimi soggetti. Appurata [continua ..]


5. Presupposti per la nomina giudiziale del rappresentante comune

Presupposti per la nomina in via camerale del rappresentante comune degli azionisti sono, oltre logicamente alla contitolarità delle azioni (che sia opponibile, come visto, alla società) ed all’impossibilità di addivenire consensualmente alla nomina del rappresentante a maggioranza dei condividenti, anche e soprattutto, la mancanza di controversie sull’esistenza e sull’estensione dei diritti dei comproprietari delle stesse azioni. Sul punto il provvedimento del Tribunale di Salerno evidenzia esattamente che, in caso di sussistenza di tali contrasti, il ricorso di volontaria giurisdizione per la designazione del rappresentante comune non può che essere respinto e la questione deve essere decisa in sede contenziosa. Verificandosi questa situazione, al soggetto istante, in presenza del periculum in mora e del fumus boni iuris, resta comunque la possibilità di attivare un meccanismo cautelare per la gestione temporanea delle partecipazioni azionarie: si tratta del rimedio del sequestro giudiziario di cui all’art. 670 c.p.c., con cui egli potrà richiedere la nomina di un custode giudiziario (che opererà sotto il controllo e la direzione del giudice) delle partecipazioni sociali [28], anziché del rappresentante comune. Il sequestro delle azioni [29] di società, già ammesso tanto dalla dottrina che dalla giurisprudenza [30], ha infatti trovato ora un espresso riconoscimento nel novellato art. 2352 c.c., il quale ha tra l’altro disciplinato i relativi poteri del custode. A quest’ultimo spetta il diritto di voto (senza possibilità di accordi diversi, a differenza di quanto previsto per il caso di usufrutto e di pegno) in ogni tipo di assemblea, il che si giustifica per la finalità di consentire al medesimo di adempiere alle funzioni di custodia ed amministrazione attribuite dal legislatore [31]. Si ritiene inoltre che i poteri del custode discendano non da uno specifico provvedimento autorizzativo del giudice, ma dal solo atto di nomina; tuttavia il giudice può riservarsi (ex art. 676 c.p.c.) la facoltà di impartire direttive circa le modalità di esercizio del voto e comunque, anche laddove ciò non si verifichi, il custode resta vincolato all’osservanza del dovere di diligenza nel­l’adem­pi­mento del proprio incarico. Del resto le eventuali limitazioni ai poteri del custode [continua ..]


6. Osservazioni conclusive

La decisione in commento appare nella sua conclusione (rigetto del ricorso per la nomina del rappresentante comune) senz’altro condivisibile. Tuttavia, come si è notato, alcuni suoi passaggi sembrano censurabili. Mi riferisco in particolare alla considerazione espressa in termini generali ed assoluti secondo cui le azioni e le quote di società (ogni tipo di società!) costituiscono incrementi patrimoniali rientranti tra gli acquisti, di cui all’art. 177, lett. a), suscettibili di cadere in comunione legale immediata. Inoltre non convince neppure la scelta di ritenere, in caso di comproprietà di azioni, i diritti di intervento in assemblea, di voto e di impugnazione della delibera, di esclusiva competenza del rappresentante comune [33]. Il mero dato letterale, di cui al primo comma dell’art. 2347, sembra infatti insufficiente a sostenere ciò con certezza. Tanto più che, come si è evidenziato, almeno sotto il profilo della legittimazione passiva, tale opzione interpretativa non sembra neppure in perfetta sintonia con il comma secondo del medesimo articolo; né essa pare coerente con i principi generali fissati dal legislatore in tema di rappresentanza non legale. Senza contare che la tesi della legittimazione all’esercizio congiunto dei diritti sociali da parte dei contitolari delle azioni si conforma alla stessa ratio dell’art. 2347, che può sintetizzarsi nel­l’indivisibilità della partecipazione e nell’esi­genza di limitare gli intralci alla speditezza dei lavori assembleari (evitando, ad esempio, il possibile voto divergente dei soci) e quindi soprattutto in ragioni organizzative. Sembra quindi preferibile ritenere che i contitolari delle azioni possano esercitare congiuntamente i diritti sociali, non solo in caso di mancata nomina del rappresentante comune ma anche nell’ipotesi in cui egli sia stato nominato. Situazione quest’ultima in cui l’esercizio di tali diritti potrà semmai comportare la revoca del rappresentante.


NOTE
Fascicolo 4 - 2007