Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Il problema delle clausole statutarie di società quotate che attribuiscono al consiglio di amministrazione il potere di presentare una lista per la nomina di amministratori o sindaci (di Pietro M. Fioruzzi – Francesco Lione)


– Omissis – Con atto notificato il 28.1.1999 Carlo Fabris conveniva avanti al Tribunale di Udine la Danieli & C. Officine Meccaniche s.p.a., chiedendo l’annullamento della delibera dell’assemblea straordinaria del 30.10.1998 nella parte in cui aveva modificato gli artt. 12 e 21 dello statuto. Il primo (art. 12) in quanto, prevedendo che l’assemblea è presieduta dal Presidente del consiglio di amministrazione o, in caso di assenza od impedimento dello stesso, da altro consigliere a tal fine incaricato dal consiglio, viola l’art. 2371 C.C. il quale prevede invece che l’assemblea è presieduta dalla persona indicata nell’atto costitutivo o in mancanza da quella designata dagli intervenuti; il secondo (art. 21), riguardante la nomina dei sindaci, in quanto, prevedendo il diritto del consiglio di amministrazione di presentare una lista di candidati per l’elezione del collegio sindacale, viola l’art. 148 comma 2 del D.Lgs. 24.2.1998 n.58 che attribuisce ai soci di minoranza il diritto di eleggere un membro effettivo nel collegio sindacale.   Si costituiva la società convenuta, eccependo preliminarmente l’inammissibilità dell’impugnazione della delibera per abuso del diritto azionato dall’attore in quanto in passato aveva impugnato più volte le delibere assembleari e poteva quindi considerarsi un “disturbatore professionista dell’assemblea” e, nel merito, il rigetto per la sua infondatezza. Il Tribunale, con sentenza n. l358/01 depositata in data 8.10.2001, disattendeva l’eccezione di inammissibilità dell’im­pugnazione che accoglieva limitatamente alla avvenuta modifica dell’art. 21 dello statuto. Proponeva appello la società ed all’esito del giudizio, nel quale si costituiva il Fabris chiedendone il rigetto e proponendo anche appello incidentale. La Corte d’Appello di Trieste con sentenza del 2.7.2003-7.2.2004, in accoglimento dell’ap­pel­lo incidentale, annullava la delibera anche in relazione alla modifica apportata all’art.12 dello statuto, confermando nel resto e condannando la società al pagamento delle spese processuali. Dopo aver disatteso l’eccezione di inammissibilità basata sul­l’asserito abuso da parte del Fabris, sostenendo che questi si era limitato invece ad esercitare un proprio diritto in qualità di socio, rilevava la Corte d’Appello per quanto riguarda l’art. 21 dello statuto che correttamente il Tribunale aveva ritenuto che detta previsione, così come modificata, attribuendo al consiglio di amministrazione il diritto di presentare una propria lista di candidati sindaci, avrebbe potuto comportare l’integrale copertura dei seggi disponibili, pregiudicando il diritto dei soci di minoranza di ottenere l’elezione di un loro candidato in violazione [continua..]
SOMMARIO:

1. Il caso - 2. Normativa di riferimento - 3. Precedenti giurisprudenziali e dottrina - 4. Commento - NOTE


1. Il caso

Con la sentenza pubblicata la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla validità della delibera dell’assemblea straordinaria di una società quotata, nella parte in cui aveva modificato lo statuto della società introducendovi una clausola che attribuiva al consiglio di amministrazione il potere di presentare una propria lista di candidati per l’elezione del collegio sindacale. Nel caso concreto esaminato dalla Suprema Corte un socio di minoranza aveva impugnato la delibera dell’as­semblea straordinaria della società convenuta che aveva introdotto in statuto il potere del consiglio di amministrazione di presentare una lista di candidati per l’ele­zione del collegio sindacale. Il socio attore aveva denunziato la violazione dell’art. 148, 2° comma, d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (t.u.f.), lamentando l’elusione del diritto dei soci di minoranza ad avere almeno un membro effettivo del collegio sindacale tratto da una delle liste da loro presentate. La società aveva proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Trieste, che aveva accolto la domanda del socio, deducendo la cessazione della materia del contendere nella fase di merito e argomentando che la possibilità attribuita al consiglio di amministrazione di presentare una propria lista non doveva ritenersi in contrasto con l’art. 148, 2° comma, t.u.f., atteso che essa non precludeva in alcun modo alla minoranza di presentare una propria lista. La Corte Suprema ha dato atto del venir meno delle ragioni di contrasto fra le parti, essendo stata espunta dallo statuto la clausola contestata durante la fase di merito del giudizio, ma ha in ogni caso esaminato le questioni dedotte in sede di legittimità e deciso sulla soccombenza virtuale di una delle parti al fine di provvedere in merito alle spese. In particolare, la Suprema Corte ha condiviso la sentenza della Corte di Appello e ha motivato la propria decisione con due argomenti: per un verso, ha rilevato l’anomalia di un collegio controllante nominato anche dall’organo controllato, e, per l’altro, ha ritenuto che la clausola statutaria contestata era certamente in violazione dell’art. 148, 2° comma, t.u.f., in quanto essa comportava il pericolo di una copertura integrale dei posti disponibili nel collegio sindacale da parte di soggetti voluti dalla maggioranza e dall’orga­no [continua ..]


2. Normativa di riferimento

2.1. Data la relativa instabilità del quadro normativo di riferimento [1], è opportuno sintetizzare rapidamente la successione nel tempo delle diverse norme di volta in volta applicabili. In particolare, è bene chiarire subito che, rispetto alla formulazione testuale vigente all’epoca dei fatti di causa ed applicata dalla Suprema Corte ratione temporis nel caso in esame, l’art. 148, 2° comma, t.u.f. [2] è stato dapprima sostituito dall’art. 2, legge 28 dicembre 2005, n. 262 (legge per la tutela del risparmio) [3] e poi ulteriormente modificato dall’art. 3, 14° comma, d.lgs. 29 dicembre 2006, n. 303 (decreto correttivo) [4]. La prima modifica legislativa, sollecitata dalla limitata applicazione pratica riscontrata dal sistema di nomina dei sindaci da parte delle minoranze azionarie originariamente previsto dal t.u.f., ha rimesso alla Consob il potere di stabilire le modalità per l’elezione di un membro del collegio sindacale da parte delle minoranze, al fine di rendere maggiormente efficace la prescrizione [5]. L’ulteriore emendamento apportato con il decreto correttivo ha poi previsto in modo espresso che l’elezione dei sindaci debba avvenire «con voto di lista» e ha precisato che, onde garantire l’effettiva estraneità alla compagine di maggioranza del sindaco espresso dalla minoranza, almeno un membro effettivo del collegio sindacale debba essere tratto dalla lista presentata da soci di minoranza che «non siano collegati, neppure indirettamente, con i soci che hanno presentato o votato la lista risultata prima per numero di voti».   2.2. Con riguardo alla nomina degli amministratori, la legge per la tutela del risparmio ha introdotto l’art. 147-ter [6] nell’articolato del t.u.f. e ha esteso al consiglio di amministrazione il principio per cui deve essere garantita nell’organo amministrativo la presenza di almeno un amministratore eletto tra i candidati elencati nelle liste presentate dalle minoranze [7]. Il decreto correttivo è successivamente intervenuto sull’art. 147-ter ed ha, tra le altre cose, chiarito che il collegamento rilevante al fine di garantire la genuina estraneità della lista di minoranza rispetto al socio di controllo è quello sussistente tra soci che propongono o votano le varie liste piuttosto che tra le stesse liste, secondo [continua ..]


3. Precedenti giurisprudenziali e dottrina

L’interesse per la sentenza in epigrafe risiede in ciò che, per la prima volta in giurisprudenza, essa affronta in modo esplicito il problema della legittimità di clausole statutarie che attribuiscono al consiglio di amministrazione di società quotate il potere di presentare, in nome della società, liste per l’elezione dei nuovi membri del collegio sindacale. Il tema è contiguo, e merita di essere trattato congiuntamente, con l’ipotesi in cui lo statuto di una società quotata attribuisca al consiglio di amministrazione uscente il potere di presentare liste per l’elezione dei nuovi amministratori. Queste clausole sono contenute negli statuti di diverse società italiane di primaria importanza. Si rinvengono, in particolare, negli statuti sia di «società privatizzate» indicate dall’art. 3, d.l. 31 maggio 1994, n. 332 (decreto sulle privatizzazioni) [11], tra cui ENI S.p.A. [12], ENEL S.p.A. [13], Telecom Italia S.p.A. [14] e Finmeccanica S.p.A. [15], sia di altre società quotate, tra cui Ansaldo STS S.p.A. [16], Assicurazioni Generali S.p.A. [17] e SEAT Pagine Gialle S.p.A. [18]. Ciò nonostante, l’ammissibilità di una clausola statutaria che attribuisca al consiglio di amministrazione il potere di presentare una lista per l’elezione di amministratori o sindaci è lungi dall’essere un punto fermo del nostro ordinamento societario ed è stata solo di rado oggetto dell’attenzione della dottrina. Assonime [19] ha adottato una posizione contraria alla possibilità di riconoscere al consiglio di amministrazione uscente il potere di presentare una propria lista, notando che: «la disposizione del primo comma dell’art. 147-ter, t.u.f. non prevede espressamente la possibilità che liste di candidati possano essere presentate dagli amministratori uscenti, come invece è stabilito espressamente dall’art. 4 della l. 474/1994 sulle privatizzazioni (e negli statuti di quelle società)» e concludendo che «[t]ale possibilità sembra oggi preclusa alle società quotate (fatta salva comunque l’applicazione della disciplina speciale per le società privatizzate)». Voci autorevoli della dottrina hanno però seguito una linea diversa, opinando che l’art. 147-ter t.u.f. non precluda la [continua ..]


4. Commento

4.1. L’analisi delle motivazioni addotte dalla Corte di Cassazione in questa sentenza deve a nostro avviso approdare subito ad un punto fermo. Anticipando il ragionamento che segue, deve dirsi che la delibera assembleare di società quotata che introduca nello statuto una clausola che vanifichi la possibilità per le minoranze di designare almeno un componente dell’organo amministrativo o di controllo è senz’altro contraria al principio imperativo stabilito negli artt. 147-ter e 148 t.u.f. e si presta ad essere impugnata ai sensi dell’art. 2377 c.c. [21]. Come correttamente assunto dalla Suprema Corte, la volontà legislativa sottesa all’introduzione dell’art. 148, 2° comma, del t.u.f. mirava (già nella originaria formulazione di tale disposizione) a garantire una più ampia rappresentatività all’organo di controllo di società quotate e a contenere la posizione di predominio procurata ai soci che detengono la maggioranza relativa dei voti dalla meccanica applicazione del principio maggioritario [22]. Ciò allo scopo non già di funzionalizzare il ruolo dei diversi componenti del collegio sindacale alla cura degli interessi singolarmente espressi dagli azionisti che li hanno designati, quanto di rafforzare l’indipendenza dei controllori nei confronti degli azionisti di comando [23] e di arricchire il dibattito interno al collegio sindacale delle molteplici angolazioni da cui i soci possono guardare al comune interesse alla valorizzazione dell’in­ve­stimento azionario [24]. In questa prospettiva, si deve dunque riconoscere alla Suprema Corte il merito di avere chiaramente enunciato la ratio dell’art. 148 t.u.f. e di aver opportunamente adombrato la potenziale invalidità di delibere con cui i soci adottino clausole statutarie comportanti «il pericolo di una copertura dei posti disponibili [adde: nell’organo di controllo] da parte unicamente dei soggetti voluti dalla maggioranza e dall’organo amministrativo» e che non assicurino «la presenza di membri votati dalla minoranza» [25]. Analogamente, si deve dare atto alla Suprema Corte di avere correttamente ritenuto che, stante la formulazione dell’art. 148 t.u.f. vigente all’epoca dei fatti di causa, la clausola statutaria che attribuiva al consiglio di amministrazione di una società [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2007