Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Quale disciplina per l´arbitrato irrituale statutario? (di Luca Boggio)


SOMMARIO:

1. I termini del problema - 2. La volontà del Legislatore storico - 3. Esame di compatibilità degli artt. 34-36, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 17 con l’arbi­trato irrituale - 4. Conseguenze dell’incompatibilità parziale degli artt. 34-36, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 17 con l’arbitrato irrituale - 5. Applicabilità delle disposizioni non incompatibili: è lecita la previsione di una clausola compromissoria per arbitrato irrituale nello statuto di società «che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell’art. 2325-bis del codice civile»? - 6. (Segue). È lecita una «determinazione contrattuale» non avente ad oggetto «diritti disponibili»? - 7. (Segue). È obbligatoria la devoluzione della nomina di tutti gli arbitri ad un «soggetto estraneo alla società»? - 8. (Segue). È possibile imporre efficacemente per via statutaria una «determinazione contrattuale» a definizione di una controversia con chi sia dubbio che sia socio? - 9. (Segue). È lecito imporre per via statutaria una «determinazione contrattuale» a definizione di una controversia con i membri degli organi sociali? - 10. (Segue). Con quali maggioranze si possono «introdurre» o «sopprimere» negli statuti clausole compromissorie irrituali? - 11. (Segue). È necessario procedere al deposito della domanda d’arbitrato irrituale nel Registro delle Imprese? - 12. (Segue). Il lodo irrituale è «vincolante per la società»? - 13. Osservazioni conclusive - NOTE


1. I termini del problema

Dopo la recente riforma della disciplina generale dell’arbitrato [[1]], che, se – da un lato – ha introdotto una (pur sintetica) regolamentazione positiva dell’Arbitrato irrituale, ha – dall’altro – condizionato l’applicabilità della stessa alla sussistenza di una «disposizione espressa per scritto» dalle parti [[2]], potrebbe apparire un po’ démodé occuparsi di arbitrato irrituale. Tuttavia, il campo societario è sempre stato terreno di elezione di quella forma di soluzione delle controversie, soprattutto di quelle relative alle società di persone, nelle quali alla deformalizzazione delle procedure decisionali interne – giustamente o meno non importa – si riteneva meglio accompagnarsi uno strumento di soluzione dei conflitti endosocietari altrettanto libero da formalità imposte dalla legge e privo dell’auto­rità di un dictum con efficacia simile a quella della sentenza dei Giudici dello Stato. La riforma del 2006 ha seguito di poco più di tre anni l’introduzione della speciale disciplina dell’Arbitrato societario (statutario) compiuta con il d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, il quale assai marginalmente s’era dato cura di disciplinare in modo espresso anche l’arbitrato irrituale, con la conseguenza che i primi interpreti sono divisi riguardo all’applicabilità [[3]] delle nuove disposizioni sull’arbitrato societario statutario anche agli arbitrati irrituali [[4]]. Il tema, invero, non ha sollecitato ampi approfondimenti dottrinali. Tuttavia, la giurisprudenza ha avuto occasione di prender posizione, sancendo prevalentemente l’inapplicabilità in termini generali – fatta eccezione, ovviamente, per la disposizione che garantisce espressamente alle parti compromittenti la tutela cautelare anche in caso di clausola arbitrale irrituale (art. 35, 5° comma) – della regolamentazione contenuta negli artt. 34-36, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 [[5]]. Sul piano pratico, l’applicazione della disciplina dell’arbitrato societario statutario anche all’arbi­trato irrituale imporrebbe – a titolo di esempio – la nomina di tutti gli arbitri da parte di un soggetto «estraneo alla società», l’applicazione del quorum rafforzato (per le società di capitali) di due terzi del [continua ..]


2. La volontà del Legislatore storico

Per stabilire se la disciplina dell’arbitrato societario non possa (ed in quale misura) essere applicata anche all’arbitrato irrituale, conviene prendere le mosse dall’esame dell’intentio del legislatore storico. La Relazione ministeriale, che accompagnò il decreto sul processo commerciale, afferma che «la formulazione del testo contribuisce alla creazione di una compiuta species arbitrale, che si sviluppa senza pretese di sostituire il modello codicistico (naturalmente ultrattivo anche in materia societaria) comprendendo numerose opzioni di rango processuale». È stata, correttamente, messa in luce la volontà di non «sostituire il modello codicistico» [[6]]. Dunque, di dar luogo ad un modello ulteriore rispetto a quello disciplinato dalla legge processuale, con ciò dimostrando – da un lato – che il termine di raffronto dell’intervento legislativo era (ed è) costituito dal solo arbitrato rituale, unico qualificabile come «modello codicistico», e – dall’altro – la volontà di mantenere in vita le preesistenti forme di arbitrato [[7]]. Ma la Relazione offre un ulteriore spunto. Essa precisa che l’intento del legislatore storico era di realizzare la «promozione della cultura dell’arbitrato endo-societario». Detta finalità, certo, meglio si realizza diversificando gli strumenti di soluzione delle controversie, non, invece, costruendo un modello di giustizia privata in campo societario sostanzialmente rigido. In via generale, può, dunque, ritenersi assodato che non fosse intenzione del legislatore storico la ricomprensione dell’arbitrato irrituale nell’ambito di applicazione delle nuove norme sull’arbitrato societario, fatta eccezione per il 5° comma dell’art. 35. D’altronde, tale conclusione trova consensi anche tra le voci dottrinali espressesi nel senso dell’applicabilità degli artt. 34 ss. anche agli arbitrati irrituali [[8]].


3. Esame di compatibilità degli artt. 34-36, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 17 con l’arbi­trato irrituale

Una parte dei primi commentatori della riforma [[9]], sposando l’idea di non applicare alla nomina degli arbitri irrituali il 2° comma dell’art. 34, ha ritenuto incompatibile la disciplina del procedimento e del lodo con la «figura» dell’arbitrato irrituale. Secondo questa tesi, «la vera peculiarità dell’arbi­tra­to» sta nella «libertà delle parti», «ad un tempo motore e vantaggio rispetto al processo giurisdizionale»; perciò, la nuova disciplina dell’arbitrato societario, o parte di essa, non sarebbe suscettibile di regolare l’arbitrato irrituale da clausola statutaria. Le affermazioni dinanzi richiamate, sebbene – come si vedrà – infine condivisibili, rischiano di essere tautologiche, se non verificate a seguito di una compiuta disamina delle singole disposizioni ex novo introdotte nell’ordinamento societario. Si deve, quindi, appurare, disposizione per disposizione, se tale «incompatibilità» sia reale [[10]]. Meglio, se l’applicazione delle regole speciali dell’ar­bitrato societario non comporterebbe una modificazione della disciplina dell’arbitrato irrituale tale da renderlo sostanzialmente indistinguibile dall’arbitrato rituale (societario) e, come tale, di fatto abrogato dall’intervento novellatore: risultato di certo in contrasto con la chiara previsione di mantenimento in vita dell’arbitrato irrituale – come figura contrattuale autonoma – di cui al 5° comma del­l’art. 35 e con la disposizione contenuta nell’art. 808-ter c.p.c., che consacra nel diritto (positivo) generale dell’arbitrato anche quello irrituale [[11]]. Le disposizioni contenute nell’art. 34, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, fatta eccezione per quella del quinto comma, non appaiono incompatibili con la struttura procedimentale (anche minima) dell’at­tività degli arbitri irrituali [[12]] e la natura contrattuale del lodo libero [[13]]. Analogamente può dirsi per le previsioni dei commi primo, quarto [[14]] e quinto-bis dell’art. 35 [[15]], nonché della prima parte del terzo [[16]]. Il 5° comma dell’articolo appena citato è, addirittura, dichiarato espressamente applicabile anche all’arbitrato «non rituale» e, dunque, di certo [continua ..]


4. Conseguenze dell’incompatibilità parziale degli artt. 34-36, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 17 con l’arbitrato irrituale

Traendo, ora, le fila del discorso sin qui condotto, mi pare si possa concludere, in accordo con il prevalente orientamento interpretativo [[34]], riguardo alla sostanziale (anche se non integrale) incompatibilità – alla luce della precedente elaborazione giurisprudenziale e dottrinale – della nuova disciplina dell’arbitra­to societario con quella dell’arbitrato irrituale che emerge dalla riforma del 2006. L’applicazione del com­plesso delle disposizioni di diritto societario all’arbitrato irrituale sarebbe suscettibile non solo di modificare così profondamente la struttura dell’arbitrato «libero» – che, peraltro, tale assai meno sarebbe – da renderlo molto dissimile dal modello affermatosi nella pratica [[35]], ma si presenta addirittura incompatibile con la nuova disciplina legale dell’istituto in alcuni dei suoi tratti qualificanti [[36]]. Se oggi – mi pare – ha perso del tutto forza il tradizionale assunto della incompatibilità con l’arbi­trato irrituale di ogni forma di regolamentazione limitativa dell’autonomia privata [[37]], una serie di elementi testuali, oltre il contenuto della Relazione, inducono comunque ad individuare il ricorrere di un intento del legislatore storico di escludere, in via di generale applicazione, l’arbitrato irrituale statutario dall’orizzonte della nuova disciplina dell’arbitrato societario [[38]]. I ricorrenti richiami a varie disposizioni del codice di rito (artt. 105-106-107-820-829-831), senza alcun riferimento ad altre del codice civile, sino al 2006 ritenute pacificamente applicabili all’arbitrato libero, e regolatrici di problematiche parzialmente analoghe (artt. 1183-1349-1421-1969-1972) [[39]], inducono a concludere che nella mens legislatoris l’unica materia oggetto dell’intervento riformatore fosse quella del solo arbitrato a quel tempo disciplinato dalla legge processuale [[40]]. E la conclusione deve rimanere ferma anche dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, poiché, se è vero che lo stesso è intervenuto introducendo un mezzo tipico di annullamento (art. 808-ter, 2° comma, c.p.c.) [[41]], si de­ve comunque ritenere che ciò non precluda l’impugnazione, «in senso lato», del lodo «contrattuale» contenente disposizioni [continua ..]


5. Applicabilità delle disposizioni non incompatibili: è lecita la previsione di una clausola compromissoria per arbitrato irrituale nello statuto di società «che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell’art. 2325-bis del codice civile»?

L’incompatibilità di alcune (fondamentali) disposizioni relative all’arbitrato societario non consente, però, di affermare l’inapplicabilità tout court anche di tutte le altre disposizioni sull’arbitrato (rituale) societario a quello irrituale, dovendo la verifica essere condotta disposizione per disposizione, poiché non è possibile escludere a priori la portata più generale di disposizioni relative all’arbi­trato rituale, quando esse siano la formalizzazione di principi di più vasta applicazione [[45]]. Ora, non volendo trattare tutte le possibili questioni, si limiterà l’analisi, nel presente paragrafo e nei seguenti, ad alcuni (rilevanti) quesiti attinenti alla possibilità di applicare quella parte delle disposizioni regolatrici dell’arbitrato societario più sopra individuate come non incompatibili con l’arbitrato irrituale. La prima disposizione meritevole di attenzione è quella che prevede la possibilità di «devoluzione ad arbitri delle controversie» tra i soci e le società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell’art. 2325-bis c.c., ossia quelle le cui azioni siano «quotate in mercati regolamentati» oppure siano «diffuse tra il pubblico in misura rilevante» [[46]]. In forza di tale norma, debbono ritenersi contra legem le clausole compromissorie statutarie che comportino l’applicazione della nuova forma di arbitrato, allorché una parte dei soci appartenga alla categoria dei cc.dd. risparmiatori. Per quanto non sia andata esente da critiche [[47]], la disposizione tiene, opportunamente, conto della circostanza che, in questa categoria di società, l’acquirente della partecipazione sociale si determina in tal senso più per il contenuto economico del titolo che per quello giuridico [[48]]. Perciò, v’è una presunzione iuris et de iure che l’adesione all’accordo compromissorio non sia consapevole da parte del socio risparmiatore [[49]] e che, quindi, sia priva di quel requisito volontaristico cui la giurisprudenza della Consulta condiziona la validità della scelta della giustizia privata in alternativa a quella dello Stato. Se questa è la ratio della disposizione, non può essere condivisa l’opinione di chi [[50]] ha [continua ..]


6. (Segue). È lecita una «determinazione contrattuale» non avente ad oggetto «diritti disponibili»?

La risposta è semplice. Per via negoziale è ammesso costituire, modificare ed estinguere solo diritti disponibili. Il «lodo contrattuale», che ha (il valore e) gli effetti di un contratto e che è pronunziato in esecuzione di un accordo compromissorio, non può incidere in materia indisponibile. Sarebbe, infatti, nullo per effetto dell’applicazione del disposto degli artt. 1418 ss. c.c., l’accordo compromissorio che prevedesse la decisione su materie indisponibili e, dunque, invalida la «determinazione contrattuale» adottata in esecuzione di detto accordo nullo [[52]]. Il lodo irrituale societario è, anch’esso, «determinazione contrattuale»; pertanto, non si sottrae alla regola appena enunziata. Ora, posto che il 1° comma dell’art. 34, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, allorché nega la possibilità alle parti private di intervenire su materie non disponibili, non fa che ripetere la regola generale – non solo dell’art. 806, 1° comma, c.p.c., ma anche – dell’art. 1346 c.c. [[53]], appare sostanzialmente inutile disquisire dell’applicabilità all’arbitrato irrituale dell’ultima parte del primo comma in commento [[54]]. Neppure all’arbitro societario irrituale è consentito di prendere decisioni modificative di diritti non disponibili [[55]]. Sotto questo profilo la disciplina dell’arbitrato irrituale societario non differisce né da quella del diritto generale dell’arbitrato, né da quella dell’arbitrato rituale societario.


7. (Segue). È obbligatoria la devoluzione della nomina di tutti gli arbitri ad un «soggetto estraneo alla società»?

La prima parte del 2° comma dell’art. 34, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, stabilisce che la nomina degli arbitri societari sia compiuta da un «soggetto estraneo alla società» ed alla violazione di tale previsione riconnette strettamente la sanzione di nullità. Contrariamente a quanto ritenuto da parte della dottrina [[56]], se si sposa la tesi che traspare dai passi della Relazione richiamati supra al § 2 e si valorizzano i vari riferimenti alle disposizioni del codice di rito relative all’arbitrato rituale contenuti negli artt. 35 e 36, può pianamente concludersi per l’inapplicabilità della previsione del 2° comma dell’art. 34 all’arbitrato irrituale [[57]]. La sottrazione alle parti della facoltà di designare uno o più arbitri, ai quali lo statuto della società devolva la risoluzione di una controversia sociale, risponde all’esigenza di garantire l’imparzialità degli arbitri. La soluzione più «pratica» è individuata nella rimessione del potere di nomina ad un soggetto esterno alla società, intesa in senso lato (soci, maggioranza di essi, amministratori, sindaci, probiviri, ecc.) [[58]], e ciò perché solo il «distacco» tra designante e parte è ritenuto garantire adeguatamente l’«equidistanza» degli arbitri rispetto a tutti gli interessi in gioco, individuati ex lege senza limitazione a quelli delle sole parti in concreto litiganti. Se nessuna parte contribuisce direttamente alla designazione del giudice privato, costui si trova in una posizione di fatto più idonea a tener conto anche di tutti quegli interessi non direttamente facenti capo alle parti in lite, ma comunque toccati dalla soluzione privatistica della controversia. A presidio di tale risultato, il legislatore dell’arbitrato societario ha introdotto la sanzione di nullità delle clausole compromissorie statutarie difformi dal modello legalmente predeterminato. Il disposto dell’art. 34, 2° comma, però, non è l’unica garanzia legale per interessi diversi da quelli dei litiganti. Esso trova un necessario complemento di tutela nelle norme sull’intervento nel giudizio arbitrale [[59]], nella inderogabile – e, rispetto al diritto comune, più stringente – disciplina delle regole di decisione della lite [continua ..]


8. (Segue). È possibile imporre efficacemente per via statutaria una «determinazione contrattuale» a definizione di una controversia con chi sia dubbio che sia socio?

La disciplina dell’arbitrato societario stabilisce che «la clausola [compromissoria] è vincolante per la società e per tutti i soci, inclusi coloro la cui qualità di socio è oggetto di controversia». Orbene, il problema della vincolatività per «coloro la cui qualità di socio è oggetto di controversia» si pone sotto due profili. Da un lato, la «vincolatività» può riguardare il caso in cui si discuta della pretesa di acquisire detta qualità vantata da parte di un terzo [[64]] oppure può concernere la domanda di un socio volta a far accertare che un terzo abbia acquistato detta qualità [[65]]; dall’altro, essa può configurarsi quando dal socio o dal terzo sia proposta una domanda di accertamento negativo dell’acquisto in capo al terzo stesso della qualità di socio. La lettera della norma sembrerebbe includere ambo le ipotesi; infatti, in tutt’e due si controverte sulla qualità di socio di un determinato soggetto. Nella prima ipotesi la soggezione alla soluzione arbitrale non pone particolari problemi [[66]], in quanto si può ritenere che il terzo abbia implicitamente accettato il patto compromissorio con l’ac­quisto della partecipazione sociale. Infatti, l’acquisto della qualità di socio – e, perciò, anche quella di contraente del patto compromissorio quale parte del contratto sociale – è elemento necessario della prospettazione della domanda e, come tale, entra a far parte di quegli elementi in forza dei quali si deve stabilire l’appartenenza o l’estraneità della controversia all’ambito soggettivo della clausola arbitrale [[67]]. Nell’altro caso, quello del socio o del terzo che propongano una domanda di accertamento negativo dell’acquisto della qualità di socio, si prospetta, invece, l’estraneità di costui alla compagine sociale e, perciò, all’accordo compromissorio contenuto nello statuto. Un’applicazione letterale della disposizione, dunque, comporta la soggezione di un cittadino ad un giudice privato, senza che egli abbia espresso la propria volontà in tal senso [[68]]. E ciò – eccezionalmente – in deroga al disposto dell’art. 1372 c.c. [[69]] Se il significato della disposizione è questo [continua ..]


9. (Segue). È lecito imporre per via statutaria una «determinazione contrattuale» a definizione di una controversia con i membri degli organi sociali?

Con il 4° comma dell’art. 34, il legislatore si è premurato di chiarire che, qualora lo statuto lo preveda, la mera accettazione dell’incarico da parte di amministratori, sindaci e liquidatori è sufficiente a comportare la soluzione per via arbitrale di eventuali controversie nascenti dall’esecuzione del contratto sociale. La disposizione consacra la liceità della previsione per relationem (ma «inversa») dell’arbi­trato [[82]]. Infatti, la clausola arbitrale trova applicazione anche nei rapporti con gli organi sociali, pur in mancanza di un qualunque richiamo nell’atto di accettazione dell’incarico da parte di chi è designato a ricoprire una carica societaria. Questa disposizione costituisce eccezione alle regole ordinarie, poiché non solo non richiede una specifica manifestazione adesiva all’accordo compromissorio, ma, anzi, manca del tutto un’espressa, sebbene indiretta, dichiarazione di assenso alla via arbitrale [[83]]. La deroga era necessaria per facilitare l’accesso alla giustizia arbitrale che tante volte è risultata in concreto preclusa per l’attenta tutela degli interessi terzi – rispetto a quelli dei soci – di cui s’è fatta carico la giurisprudenza [[84]], ma appare meno rilevante se si tiene conto che, essendo il patto compromissorio contenuto nei patti sociali pubblicati nel Registro delle Imprese, esso deve ritenersi iuris et de iure noto a tutti coloro che entrano in rapporti con le società commerciali e, dunque, anche a chi accetta di ricoprire una carica all’interno dell’organizzazione societaria [[85]]. La previsione legale è apprezzabile nella misura in cui elimina incertezze sulla portata in concreto del patto compromissorio [[86]], contribuendo a realizzare – per altro verso – ancora una volta la garanzia costituzionale della difesa mediante l’incremento della certezza e della celerità del processo [[87]]. Con la riforma del 2003, il legislatore apre una strada nuova in tema di compromettibilità e, senza trascurare le esigenze sottese all’istanza di garanzia della volontarietà della scelta arbitrale, ha introdotto una nuova species di soluzione delle controversie caratterizzata da una minore disponibilità e da un più ampio ambito di operatività suscettibile di [continua ..]


10. (Segue). Con quali maggioranze si possono «introdurre» o «sopprimere» negli statuti clausole compromissorie irrituali?

L’ultimo comma dell’art. 34 subordina all’approvazione di tanti soci «che rappresentino almeno i due terzi del capitale sociale» le «modifiche dell’atto costitutivo introduttive o soppressive di clausole compromissorie». Si tratta di una previsione che – per le società di persone – stabilisce un quorum che agevola l’introduzione o la soppressione di clausole arbitrali statutarie, mentre – per le società di capitali – impone una maggioranza rafforzata rispetto a quella ordinariamente richiesta per le modificazioni statutarie [[93]]. Al riguardo è stato scritto che la disposizione in esame intenderebbe favorire l’accesso alla soluzione arbitrale delle liti societarie, escludendo la necessità del consenso individuale del socio riguardo all’introduzione (e alla soppressione) della clausola compromissoria [[94]]. La ragione del favor dianzi ricordato – in un’ottica schiettamente processualistica – si fonderebbe sulle caratteristiche (inderogabilmente) garantistiche dell’arbitrato societario rispetto a quello di diritto comune (nomina da parte dell’extraneus, possibilità di intervento senza il consenso delle parti, regole procedimentali necessarie, ecc.). Certamente, il minor rigore (rispetto al diritto comune) nell’osservanza del requisito volontaristico da porsi alla base della scelta arbitrale – nel senso della non necessarietà del consenso (espresso e scritto) di ciascun socio – è anche l’effetto delle maggiori restrizioni imposte all’autonomia privata nella strutturazione del mezzo di decisione della lite. Così, la volontà compromissoria, in caso di arbitrato societario, può essere manifestata indirettamente (mediante mancato recesso) o per relationem «inversa» (mediante accettazione dell’incarico), perché le regole applicabili alla controversia sono in parte imposte a tutela di interessi «terzi» [[95]]. Tuttavia, non si deve trascurare che il patto arbitrale va ad inserirsi in un atto convenzionale (i patti sociali), la cui modificazione – quantomeno nei tipi sociali capitalistici – è di norma regolato dal principio di maggioranza [[96]]. Il che impone di verificare quell’impostazione alla luce delle regole relative al procedimento decisionale [continua ..]


11. (Segue). È necessario procedere al deposito della domanda d’arbitrato irrituale nel Registro delle Imprese?

Il 1° comma dell’art. 35 dispone che la domanda d’arbitrato societario, sia proposta dalla società, sia proposta nei confronti di essa, deve essere «depositata nel Registro delle Imprese» ed «è accessibile ai soci». Nella Relazione è scritto che «l’accessibilità degli atti del procedimento ai soci estranei al medesimo, ma potenzialmente soggetti al deliberato arbitrale» costituisce una delle «numerose opzioni di rango processuale che appaiono assolutamente funzionali alla promozione della cultura dell’arbitrato» e si giustifica per il «carattere vincolante del lodo, oltre che verso la società, altresì verso i singoli soci». Secondo l’orientamento prevalente [[112]], la «struttura dell’arbitrato societario esprime la legge del gruppo», che impone il rispetto dell’esigenza di «rendere pubblica, all’interno del gruppo, l’esi­stenza della controversia (anche per facilitare gli interventi)» [[113]]. In questo quadro, il deposito della domanda si spiega in funzione della possibilità, concessa al socio estraneo al procedimento instaurato, di intervenirvi volontariamente [[114]], senza che la società o altri soci possano opporsi all’esten­sione del contraddittorio nei confronti dell’interveniente. Sotto il profilo appena evidenziato, la disciplina dell’arbitrato societario rappresenta una deroga del diritto comune, anche alla luce della recente riforma compiuta nel 2006. Posto che – come si è evidenziato supra al § 3 – nel corso di un procedimento arbitrale irrituale (societario) non è ammissibile l’intervento volontario senza il consenso delle altre parti, deve escludersi l’utilità del deposito che ha l’unica funzione di agevolare il tempestivo intervento [[115]].


12. (Segue). Il lodo irrituale è «vincolante per la società»?

Il quesito sembra avere una risposta ovvia, se si fa l’ipotesi del lodo irrituale emesso all’esito di un procedimento di cui sia stata parte formale la società. Tuttavia, per quanto il significato della previsione contenuta nel 4° comma dell’art. 35 sia stato oggetto di discussione tra i primi commentatori, può dirsi generalmente condivisa l’idea che il legislatore intendesse – stabilendo espressamente che «le statuizioni del lodo sono vincolanti per la società» – attribuire alla pronunzia arbitrale effetti più estesi di quelli già propri degli atti di autonomia privata. Nella misura in cui tale più estesa efficacia del lodo sia prevista dalla legge il 4° comma dell’art. 35 non può trovare applicazione con riferimento al lodo irrituale, che è «determinazione contrattuale» – «in deroga a quanto disposto dall’art. 824-bis» – priva degli «effetti della sentenza pronunziata dall’autorità giudiziaria». Perciò, quale che ne sia l’ampiezza, come già segnalato [[116]], il disposto di detto 4° comma è inapplicabile ai lodi irrituali societari. Peraltro, è opportuno sottolineare che non necessariamente – sulla sola scorta del diritto dei contratti – la società deve essere parte formale del giudizio perché il lodo spieghi effetti nei confronti della stessa e debba anche darvi esecuzione. Si pensi al giudizio di opposizione alla delibera di esclusione, del quale sono parti tutti i soci, ma non la società [[117]], così come quello di accertamento della violazione di un diritto di prelazione statutario.


13. Osservazioni conclusive

La tematica trattata impone qualche considerazione d’insieme. La ravvisata incompatibilità di parte della disciplina legale dell’arbitrato (rituale) statutario con l’arbitrato libero non esclude – ovviamente a condizione che si aderisca alla tesi della sopravvivenza dell’arbitrato irrituale all’introduzione dell’arbitrato societario – la possibilità di un’applicazione (quantomeno in via analogica, ma da verificarsi caso per caso) di quell’altra parte che con quest’ul­timo incompatibile non sia. Né osta a che i soci volontariamente richiamino le norme non incompatibili con l’arbitrato libero al fine di disciplinare la concreta attuazione del patto compromissorio. All’autono­mia privata, attesa la libertà concessa nella conformazione dell’accordo arbitrale alle esigenze individuali, non può essere negata la possibilità di disciplinare l’arbitrato irrituale secondo regole simili a quelle proprie dell’arbitrato rituale (societario). È, poi, opportuno evidenziare che la ritenuta estraneità dell’arbitrato libero all’ambito di applicazione della disciplina protettiva degli interessi estranei alle parti litiganti, di cui la disposizione sulla devoluzione ad un extraneum della nomina degli arbitri costituisce uno dei cardini, incide in senso restrittivo sui limiti soggettivi ed oggettivi delle clausole compromissorie irrituali statutarie. Come già sottolineato in un precedente lavoro, l’arbitrato di diritto comune sopravvive alla riforma del diritto societario [[118]], ma entro limiti soggettivi ed oggettivi assai più ristretti rispetto a quelli oggi riconosciuti alla nuova species [[119]]. L’arbitrabilità per via irrituale di una controversia deve essere negata allorché la sua soluzione coinvolga gli interessi di terzi, potendo essere ammessa solo se, qualunque essa sia, la soluzione della lite non possa ledere gli interessi di costoro nei casi in cui, in un giudizio dinanzi ad un giudice dello Stato, questi potrebbero ottenere autonoma tutela [[120]]. Infine, la diversa disciplina dell’arbitrato societario rituale rispetto a quello irrituale ha effetti anche sull’interpretazione delle clausole statutarie al fine di determinare la natura dell’arbitrato stesso. Qualora non fosse dirimente la regola contenuta [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2007