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Lineamenti di un'analisi comparata sul voto di lista: alla ricerca del ruolo della minoranza
Maria Lucia Passador
Sommario:
1. Sul voto di lista e sulla tutela delle minoranze. - 2. Peculiarità dell’ordinamento italiano. - 3. Esperienza tedesca e francese: tra rappresentanza e cogestione. - 4. Esperienza inglese ed israeliana: tra rappresentanza e diritto “di veto”. - 5. Esperienze in altri Paesi: possibilità di concorrere alla nomina imperativa. - 6. Esperienza statunitense. - 6.1. Amministratori indipendenti (dal management, non dalla maggioranza!). - 6.2. Valutazioni di sistema, valutazioni d’opportunità. - 7. Considerazioni conclusive. - NOTE
1. Sul voto di lista e sulla tutela delle minoranze.
Nell’occuparsi del diritto di voto emergono questioni attinenti alla necessità che gli ordinamenti societari si ispirino a principi democratici, declinati nel paradigma one share one vote [1] e nel conseguente principio di proporzionalità. Dall’incontro del diritto di voto, quale essenziale prerogativa amministrativa delle azioni, e del principio di proporzionalità discende, come noto, il rilievo centrale in pressoché tutti gli studi di governance del soggetto in grado di imporre il proprio diritto di voto soprattutto con riguardo alla nomina degli amministratori. Ne deriva una esigenza sentita, ampiamente discussa, ovvero la necessità di tutelare le minoranze [2], principalmente in occasione della scelta dei soggetti deputati alla gestione. Occorre altresì precisare che il concetto di minoranza è esso stesso di difficile definizione, trattandosi in realtà di un floating concept, spesso individuato per differenza rispetto al termine “maggioranza”, a propria volta di complessa determinazione [3]. Anche guardando al nostro ordinamento societario si rileva come la nozione di “minoranza” trovi spazio tanto nel Codice di autodisciplina (art. 3, commento; art. 9.C.4 e relativo commento) quanto nel TUF (in cui una sezione specifica è dedicata al tema) [4] e pertanto si inserisca nella fitta e complessa “intelaiatura” delle [continua ..]
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2. Peculiarità dell’ordinamento italiano.
Lo studio del voto di lista, in ragione dell’opportunità offerta alla minoranza di nominare un proprio rappresentante, merita di essere approfondita per tre ordini di ragioni. Anzitutto, in relazione a un amministratore che già possiede tutti i requisiti di indipendenza, si ritiene la sola procedura di elezione di amministratori indipendenti potrebbe non essere sufficiente a garantire la loro effettiva indipendenza se essi non fossero nominati dalla minoranza, in ragione delle diverse modalità di selezione dalla stessa compiute. Il semplice requisito dell’indipendenza non terrebbe infatti conto delle interrelazioni che inevitabilmente si creano all’interno del consiglio di amministrazione [20], dunque, la nomina da parte della minoranza potrebbe costituire un rafforzamento anche del requisito di indipendenza. È poi innegabile che l’ordinamento nazionale sia fortemente originale [21], tuttavia è necessario indagare le ragioni per cui anche gli operatori del diritto di altri Paesi [22], tra questi gli Stati Uniti, hanno guardato alla realtà italiana. Da ultimo, nelle società in cui si registra la presenza di fondi, sebbene non si sia mai assistito alla presentazione autonoma di un candidato da parte di essi, questi si sono molto spesso avvalsi della selezione compiuta da Assogestioni. Si tratta di una associazione volontaria senza scopo di lucro, costituita nel 1984 fra le [continua ..]
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3. Esperienza tedesca e francese: tra rappresentanza e cogestione.
Il modello tedesco di cogestione o codeterminazione (Mitbestimmung) [27] – utilizzato anche in Austria, Danimarca, Lussemburgo, Svezia e (pur con più deboli meccanismi, con clausole statutarie atte a consentire a lavoratori dipendenti con partecipazioni superiori al 3% del capitale di nominare uno o più consiglieri) [28]Francia e Finlandia – si caratterizza poiché attribuisce alle minoranze la facoltà di nominare alcuni amministratori. Più precisamente, ai sensi del paragrafo 101(2) AktG, è possibile riservare la nomina di alcuni membri del consiglio a determinati azionisti, ovvero ai titolari di determinate azioni solo se queste sono nominative e se il loro trasferimento è soggetto all’approvazione della società. I soci (die Aktionäre) hanno facoltà di proporre il nome di un amministratore e di renderlo noto (tramite sito web, se la società è quotata) almeno 14 giorni prima della adunanza assembleare (paragrafo 126 AktG), nonché di proporre i propri candidati ai fini dell’elezione del consiglio di sorveglianza (paragrafo 127 AktG). A ben vedere, la realtà descritta tutela non solo le minoranze, ma anche i lavoratori, che possono eleggere la metà dei membri dell’organo di controllo, con prevalenza, nei casi di indecisione, del voto del Presidente. In Francia non è proposta alcuna [continua ..]
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4. Esperienza inglese ed israeliana: tra rappresentanza e diritto “di veto”.
Altre realtà nazionali presentano una chiara apertura rispetto alle minoranze, tra cui il Regno Unito ed Israele, in relazione ai quali l’elemento-chiave è costituito da un diritto “di veto” espresso dalla minoranza rispetto all’elezione di un determinato consigliere. Nel Regno Unito, realtà dominata dall’obiettivo di shareholders’value maximization, si evidenzia anzitutto come il Companies Actrisulti pressoché inalterato rispetto alla versione del 1985, che ha previsto discrezione nella modulazione delle particolarità della governance. Di qui, il rilievo persino maggiore dell’autodisciplina [29]: la Section 2 – Division of responsibilities (nello specifico, principle G e provision 11) raccomanda che il board sia costituito da una combinazione di amministratori executive e non-executive (soprattutto indipendent non-executive, uno dei quali è senior independent director), identificati nel report annuale. In esso si riportano anche alcuni esempi strumentali alla definizione di “indipendenza” e si richiede che, nel caso in cui non ricorrano tali circostanze ma il soggetto sia considerato comunque indipendente, venga fornita una precisa spiegazione. Non solo. Anche il comitato nomine, di cui il Presidente del consiglio di amministrazione può essere parte, deve [continua ..]
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5. Esperienze in altri Paesi: possibilità di concorrere alla nomina imperativa.
In altre realtà ancora, gli strumenti affidati alla minoranza in termini di nomina degli amministratori sono solo apparentemente sovrapponibili al modello italiano, ma, di fatto, essi si pongono in concorrenza rispetto all’obiettivo della nomina imperativa, con le sfumature accennate nei successivi paragrafi. In Spagna, l’art. 243 Ley de Sociedades de Capital (ex art. 137 Ley de Sociedades Anónimas) enuncia – peraltro con toni affini al nostro ordinamento, in quanto la disposizione spagnola prevede anch’essa un meccanismo di calcolo dei quozienti [36] – il principio di “tutela delle minoranze”, fondato sulla proporzionale composizione consiliare [37]. Gli azionisti, nell’ambito di società per azioni sia quotate sia non quotate, possono raggrupparsi e nominare un numero di amministratori pari al rapporto tra capitale votante e posti in seno al consiglio di amministrazione. In Polonia, ex art. 385 Codice delle società commerciali, almeno un quinto degli azionisti può chiedere l’elezione di un amministratore, senza poter poi partecipare anche alla nomina di altri. Tale facoltà è attribuita a una percentuale di componenti del gruppo pari al rapporto tra azioni presenti in assemblea e numero di consiglieri da eleggere. Anche in Brasile, dal 2001, la legge societaria (art. 141) consente al 15% degli azionisti (e al 10% degli [continua ..]
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6. Esperienza statunitense.
La voce delle minoranze nei consigli di amministrazione della società rappresenta un’istanza avvertita anche oltreoceano, sebbene negli Stati Uniti venga generalmente garantito agli azionisti un potere inferiore in tema di nomina degli amministratoririspetto a quello loro attribuito nel vecchio continente [41]. Gli Stati Uniti si sono inizialmente confrontati con la problematica in questione, la tutela delle minoranza tramite lo strumento della nomina, formulando l’affascinante cumulative voting, checonsente agli azionisti di esprimere più di un voto per azione in favore di una singola persona designata da nominare nel consiglio di amministrazione, mutuato dal sistema di elezione della Camera dei Rappresentanti dell’Illinois nel periodo 1870-1980 [42]. Sino a qualche anno addietro, gli investitori hanno però limitatamente inciso la composizione del Board, in ragione del loro azionariato diffuso e della loro (ora decrescente [43]) apatia. Inoltre, sino al 2009, la NYSE Rule 452 prevedeva che gli intermediari finanziari, in assenza di indicazioni da parte dei propri clienti, avessero facoltà di votare liberamente, così allineandosi, nella maggior parte dei casi, ai desiderata del management. Mentre in Italia il concetto di “nomina” si compone di tre fasi, ossia di selezione, designazione ed elezione dei candidati, che si pongono tra loro in una non [continua ..]
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6.1. Amministratori indipendenti (dal management, non dalla maggioranza!).
In detto contesto, preme rilevare come gli amministratori indipendenti, figura primaria del meccanismo e caratteristica distintiva del modello di Board 2.0 [70], debbano esserlo rispetto al management, ma non agli azionisti di maggioranza [71]. La loro posizione li renderebbe invero capaci di garantire la gestione nell’interesse degli azionisti [72]. Tale accezione di indipendenza è sicuramente estendibile anche al Codice di autodisciplina inglese nella sua prima versione. Essa si è però evoluta, successivamente, in una diversa direzione [73], maggiormente allineata a quella dei Paesi con azionariato prevalentemente concentrato, ove – benché con differenze marcate tra le varie realtà nazionali [74] – l’indipendenza deve essere intesa quale autonomia rispetto al socio di controllo. Nonostante ciò, anche negli Stati Uniti, è doveroso sia analizzare l’ambito in cui l’amministratore agisce sia enucleare le molteplici cause di incompatibilità previste dalle norme di legge e dai listing standards [75]. Per un confronto tra l’istituto inglese e quello italiano è essenziale riferirsi qui al Regolamento di Borsa del NYSE, ove la richiamata §303A.02 precisa la nozione di indipendenza. Al fine di valutare l’indipendenza è necessario utilizzare criteri severi e rigorosi, valutare i rapporti [continua ..]
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6.2. Valutazioni di sistema, valutazioni d’opportunità.
Il meccanismo del proxy access presenta al contempo aspetti favorevoli e contrari. In una prospettiva squisitamente giuridica, il meccanismo (i) palesa una (forse non del tutto proporzionata) fiducia riguardo alle dinamiche contrattuali e statutarie, (ii) prevede un requisito quantitativo ancor troppo demanding al fine di accedere alle deleghe e ancor troppo oneroso (soprattutto laddove il voto cumulato non sia statutariamente previsto dalla società) al fine di promuovere candidati aventi ragionevoli probabilità di essere eletti; (iii) patisce le conseguenze di una regolamentazione federale probabilmente non sempre all’altezza del tenore degli interventi che le sarebbero richiesti, in costante tensione ed equilibrio rispetto ai legislatori dei singoli Stati. Dal punto di vista pratico, la voce degli azionisti nel processo di nomina e di elezione degli amministratori è efficiente, in quanto rende gli amministratori più attenti agli interessi degli azionisti medesimi [83] e permette di evitare fenomeni di entrenchment [84]. Rileva peraltro come i suoi costi siano decisamente inferiori se comparati con quelli del tradizionale proxy contest, poiché, in tal modo, verrebbero ridotti i materiali prodotti e, in ultima analisi, la partecipazione degli azionisti nella gestione delle società ad azionariato diffuso verrebbe significativamente incoraggiata. Al contempo, a livello [continua ..]
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7. Considerazioni conclusive.
Essendo evidente che il libero, non regolato, gioco delle forze costituenti la compagine sociale non riesce a garantire una valida tutela delle minoranze, il legislatore italiano ha realizzato un efficiente sistema di governo con l’introduzione dell’obbligo del voto di lista, richiedendo l’elezione di almeno un amministratore e un sindaco effettivo (se il consiglio sia composto da meno di 7 amministratori) tra i candidati componenti le liste presentate dalla minoranza [94], così assicurando una maggiore rappresentatività delle minoranze tramite un sistema di valore sia in assenza di amministratori non esecutivi [95] sia in presenza di un azionariato concentrato [96]. Tenendo a mente la struttura dei sistemi sopra tratteggiati e le considerazioni di volta in volta compiute, si deve anzitutto evidenziare non vi sia stato (fortunatamente [97]) un “trapianto” [98] di tali sistemi in Italia [99] né viceversa, nonostante i rischi di un rigetto a seguito di un simile xenotrapianto siano, secondo attenta dottrina, circoscrivibili e il sistema statunitense possa pertanto allinearsi senza difficoltà all’approccio italiano, eventualmente con un coinvolgimento del Consiglio degli investitori istituzionali (CII) [100], che potrebbe svolgere un ruolo non difforme da quello di Assogestioni. Dopotutto, il CII è anch’esso un’associazione senza scopo di lucro, [continua ..]
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NOTE